«L'ho arrestato per sei volte perché spacciava. Quando gli ho tolto le manette mi ha riso in faccia»: è un poliziotto del centro Italia a raccontare disarmato il calvario cui vanno incontro gli agenti che ogni volta, a processo finito, vedono vanificato il loro lavoro.
Il caso risale a qualche mese fa. «L'uomo, un tunisino, vendeva grosse quantità di droga. Lo abbiamo pedinato - racconta - e fermato in flagranza di reato, mentre era intento a vendere lo stupefacente. Ogni volta abbiamo testimoniato in tribunale. Gli era stato imposto l'obbligo di firma, ma le pene dipendono dalla discrezionalità dei giudici, così al sesto processo gli è stato tolto, tanto non lo rispettava». Così l'extracomunitario è tornato a piede libero, a vendere morte, finché qualcuno non ha trovato il modo di espellerlo dall'Italia per motivi amministrativi però e non penali. Non era in regola con il permesso di soggiorno, ma ci sono voluti anni».
«Il problema è sempre lo stesso - spiega Fabrizio Lotti, segretario nazionale dell'Fsp Polizia -, ovvero una questione di norme da cambiare soprattutto per i reati predatori, quelli di allarme sociale che vanno dallo scippo alla rapina. C'è poi la questione dei protocolli operativi, perché il poliziotto che interviene in questi casi si prende delle responsabilità penali e amministrative non da poco. Non ha nessun tipo di tutela». A questo, per il sindacalista, si aggiunge che «in Italia c'è il libero convincimento del giudice che è diverso da ciò che è previsto nel diritto anglosassone. Finché sarà così ci saranno sempre sentenze differenti. Per questo auspichiamo una riforma delle leggi che sia dalla parte della Polizia».
I casi segnalati sono centinaia. «Sono stato 6 anni sotto processo - racconta un agente al Giornale - perché nell'ambito di una operazione per sedare una lite familiare sono stato ferito al volto con un coltello. L'aggressore e la famiglia hanno denunciato me e i miei colleghi perché secondo lui eravamo noi ad avergli fatto male. Alla fine siamo stati assolti, ma abbiamo dovuto buttare via decine di migliaia di euro in avvocati. Mentre l'uomo è ancora libero e continua a picchiare moglie e figli».
Città del nord, altro agente: «Ho visto un ladro intento a rubare degli oggetti da un'auto. L'ho pedinato e ho l'ho fermato mentre stava cercando di vendere la refurtiva. Le accuse erano furto e ricettazione. Lo hanno processato: non gli hanno dato niente. Io sono stato accusato di non essere intervenuto prima che avesse il tempo di provare a vendere la merce».
Città dell'Emilia: «Accoltellato, 30 giorni di prognosi. Il giudice decide per le lesioni e non per il tentato omicidio. L'aggressore è già fuori», spiega un agente, aggiungendo: «Lavoriamo per 1.400 euro al mese. Se uccidono noi non importa, tanto siamo pagati anche per questo, ma vedere delinquenti che hai arrestato poi riderti in faccia è davvero frustrante».
Storie di ordinaria amministrazione, in un Paese che ha il primato delle assurdità. «Serve una certezza della pena - chiarisce il segretario generale del SAP (sindacato autonomo di Polizia) Stefano Paoloni - perché altrimenti chi delinque si sente legittimato a reiterare ciò che ha fatto.
Stiamo presentando, con l'onorevole Gianni Tonelli (Lega), un disegno di legge sulle garanzie funzionali perché oggi i nostri sono interventi difensivi: la prima preoccupazione è tutelare noi stessi». In un Paese normale dovrebbe essere il contrario.
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