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Re Giorgio non si tocca: il giudice punisce Storace

L'ex ministro condannato a sei mesi per vilipendio, ma non andrà in cella Lo sfogo: «Sono l'unico condannato in Italia, sarà contento Napolitano»

Re Giorgio non si tocca: il giudice punisce Storace

RomaLo aveva detto in tempi non sospetti, Francesco Storace, di avere l'impressione che la giustizia non sapesse come uscire dall' impasse del suo processo per vilipendio - per quell'«indegno» rivolto sette anni fa al capo dello Stato Giorgio Napolitano - e che il giudice lo avrebbe forse salvato dalla galera ma non assolto.

E così è andata: il leader della Destra è stato condannato a sei mesi per il reato di offesa all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica, gli sono state riconosciute le attenuanti generiche e la pena è stata sospesa. Non si potrà presentare spontaneamente in carcere come aveva annunciato di voler fare rinunciando all'appello. Ma la condanna resta, e pesa parecchio. Anche perché per trovare un precedente del genere nel nostro Paese bisogna arrivare al 1950, quando Giovannino Guareschi prese otto mesi per una vignetta che aveva offeso il presidente Luigi Einaudi. Da allora nessuno più è stato condannato per questo reato di cui in Parlamento si discute l'abrogazione. Nemmeno i vari Travaglio o i vari Grillo che pure hanno rivolto a Napolitano ben altri insulti. «Sono l'unico italiano condannato per questo reato. È una sentenza su commissione», commenta Storace appena il giudice finisce di leggere il dispositivo. È scosso, subito twitta la notizia con il telefonino. Poi spiega cosa intende con sentenza su commissione: «Il Partito democratico ha bloccato al Senato ogni possibilità di discussione sull'abrogazione o sulla modifica di questo reato anacronistico. Ora sarà contento Napolitano. L'Italia è il Paese dove si punisce il vocabolario, mentre ci sono deputati del Pd che portano i soldi in Svizzera e dove si prescrivono i delitti dell'eternit». L'avvocato Giosuè Naso aspetta le motivazioni e già pensa all'appello, anche se Storace non è convinto di volerlo presentare: «Voglio capire cosa vuole fare il Parlamento. Oggi prevale la delusione, domani ci ragionerò a mente fredda». I fatti contestati risalgono al 2007 e sono legati ad una polemica sorta dopo un attacco alla senatrice a vita Rita Levi Montalcini apparso sul blog del segretario della Destra dopo che il premio Nobel con il suo voto aveva contribuito a salvare il governo Prodi. Napolitano definì «indegne» le parole usate e Storace replicò usando lo stesso aggettivo nei confronti del presidente. L'avvocato ha cercato invano di convincere il giudice che quando un presidente, come fa Napolitano, scende a confrontarsi con i politici poi deve accettare il dissenso e la critica. «Le espressioni nei confronti del Capo dello Stato - ha detto il legale - pur essendo frutto di una “vis” polemica e graffiante, devono tuttavia rientrare nelle prerogative del diritto di critica politica riconosciuto ad ogni membro del Parlamento». A nulla è valso che lo stesso Napolitano, dopo aver ricevuto Storace al Colle, abbia dichiarato chiuso l'incidente e che negli anni successivi nessun ministro della Giustizia abbia più dato il via libera alle inchieste per vilipendio, neanche quando i grillini diedero del «boia» a Napolitano. Solidarietà a Storace è stata espressa dall'ex leader di An Gianfranco Fini: «La sentenza deve far riflettere sul confine che separa il vilipendio dalla libertà di opinione, categoria alla quale sono ascrivibili le parole che hanno determinato la condanna». Per Daniela Santanché, di Fi, è una «vergogna che Storace sia stato condannato per aver detto come la pensa». Il senatore Maurio Gasparri chiede l'intervento di Napolitano e definisce «inaccettabile la condanna per il reato di vilipendio in un paese come il nostro, in cui in Parlamento un ministro del Pd permette che quotidianamente il Capo dello Stato sia insultato». La solidarietà nei confronti del leader della Destra è bipartisan. In tanti, anche nel Pd, chiedono l'abolizione dei reati d'opinione.

Ritenuti da molti anacronistici.

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