Il Re è nudo ma vince il partito degli "anche se..."

Il Re è nudo ma vince il partito degli "anche se..."

E finalmente tutti gridano: «Il Re è nudo!». Ma a farlo non è un fanciullo audace immune alla deferenza generalizzata nei confronti dell'indiscusso sovrano bensì un acuto reporter che conosce dall'interno il magico mondo della celluloide americana.

E quando le urla di scherno e di sdegno si levano fino al cielo, nuove dichiarazioni di vittime inattese e di vecchi censori inondano ogni giorno le pagine dei social network.

Ma a scompigliare le carte non sono tanto gli italici giudizi di esimî giornalisti, di misogini, di incorruttibili presentatrici per famiglie o di rispettabili professioniste, ma le secche valutazioni morali della ex compagna di scuola, della vicina di casa, del giornalaio di quartiere o dell'amico del marito.

E allora comprendi agilmente perché gli hashtag #quellavoltache o #metoo non saranno mai sufficienti a farti sentire meno sola.

Perché, tutto sommato, puoi aver frainteso; «magari lui scherzava e comunque cosa ti metti a fare buriana»; perché «sei stata tu a inviare messaggi ambigui» e «si sa, l'uomo è cacciatore...».

Perché a volte non puoi correre via e lo sgomento ti prende a tal punto da tramutarti in una statua di sale e decidi che è più semplice stare zitta.

Perché se dichiari qualcosa, anche dopo anni, sarai sempre comunque quella che «limonava con un cane» e che vuole farsi pubblicità.

Perché ci sarà sempre chi, all'ombra dei propri sepolcri imbiancati, ti additerà anche se probabilmente non è estranea a ciò di cui si parla.

Perché certe cose non capitano solo ad aspiranti attrici, attirate dall'autorevole orco in camere di albergo lussuose, ma altresì a funzionarie, artigiane, segretarie e infermiere.

Perché questo è il paese in cui i sindaci si schierano con il branco «perché in fondo sono bravi ragazzi», le signore di paese mormorano stringendosi negli scialli e le stiliste femministe di grido biasimano la foggia degli abiti. Perché in fondo «cosa vuoi che sia».

Perché forse è successo anche a me una sera a Ibiza.

E se la vicenda sembra assumere le fattezze di una versione gotica della fiaba di Cappuccetto Rosso sono necessarie alcune considerazioni; infatti se da una parte non si può negare che qualche attrice possa aver ceduto per meri scopi carrieristici, è in ogni caso indiscutibile che l'influenza del «lupo cattivo», prima dell'esautorazione forzata, era trasversale ed eccedeva i limiti di competenza della sua casa di produzione.

Harvey Weinstein poneva letteralmente le malcapitate davanti a un bivio: i tuoi sogni o la tua dignità. E questo non può essere il finale di alcun racconto, neppure di quelli su bambine cattive.

La domanda sorge spontanea: Cappuccetto Rosso, con la sua sgargiante mantellina, ribelle ai buoni consigli della mamma, se l'è per caso cercata quando ha osato fermarsi a parlare con il lupo lungo la strada ed è stata perciò

successivamente divorata?

Può darsi, ma non dimentichiamoci che il lupo non si era mangiato solo la bambina impertinente ma anche la dolce nonnina e che comunque il sagace canide al termine della favola fa una brutta fine.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica