La commissione europea spiega che il Recovery Plan - NextGenerationEU vale 750 miliardi di euro, ed è necessario per riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di coronavirus per creare un'Europa post Covid-19 "più verde, digitale, resiliente e adeguata alle sfide presenti e future". La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha annunciato che il 37% dei fondi sarà destinato alle politiche verdi e che il 30% del fondo sarà finanziato attraverso "green bonds", ossia obbligazioni sul mercato per progetti benefici per l’ambiente. Su un binario parallelo viaggia il Green deal europeo che porterà l'Europa, come ha sottolineato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, ad affrontare "l’emergenza climatica e la trasformazione verso un futuro più sostenibile" tenendo conto della "dimensione sociale e della lotta contro le disuguaglianze".
Tanto rumore per nulla, o quasi. Siamo dinanzi a un classico esempio di Greenwashing, ossia quella strategia di comunicazione che spesso le aziende - in questo caso l'Unione europea - usano con estrema disinvoltura per farsi belli, con richiami ambientali e sostenibili, ma che poi non si traduce nella realtà con risultati reali e tangibili. Accusa peraltro non nuova e mossa già in passato, nei confronti dell'Unione europea e in particolare verso il Green Deal da parte di Yanis Varoufakis e David Adler sul Guardian. Senza contare che lo stesso Wolfgang Munchau, sul Financial Times, spiegava lo scorso settembre che l'obiettivo del 37% destinato alle politiche "green" annunciato da Von der Leyen non era assolutamente realistico: "Sarebbe meglio avere un obiettivo più basso ma più onesto per la spesa verde e consentire variazioni tra i Paesi. L'Italia, ad esempio, ha un fabbisogno molto maggiore di spesa per le infrastrutture di trasporto" osservava.
Ecco chi avvantaggia la presunta "svolta green" europea
Ma la cosa più grave, come nota Gianluigi Paragone su IlTempo, è che se parliamo di Recovery Plan e di NextGenerationU, ci riferiamo perlopiù a soldi che riceveremo in prestito e che non solo dovremo restituire per avvantaggiare poi le economie di altri Paesi, ma che saremo costretti a impiegare secondo i più stringenti diktat europei e seguendo dunque una road map precisa. "In nome di questa ecosostenibilità tesa a uno spostamento verso l'elettrico e verso l'idrogeno dicono: all'Italia arriveranno tanti soldi da spendere" osserva Paragone. "Certo, soldi da spendere a debito per favorire le economie degli altri. Tedeschi, cinesi in testa, perché saranno loro a venderci l'elettrico. A cominciare dall'automotive, che per la Germania è prima fonte del Pii. Riassunto: a noi i debiti dei prestiti, agli altri soprattutto gli asiatici - i profitti". Bell'affare, no? L'importante è riempirsi la bocca di ecologismo posticcio.
Che la "svolta green" sia una colossale presa in giro, d'altronde, lo sostengono anche gli attivisti "gretini" di Fridays for Future, che sul loro sito web bocciano senza appello il Recovery Plan: "Inserire la parola green nel Recovery Plan non significa agire per il clima. Non ci importa quante volte la ripetete. Ciò che ci importa è vedere degli obiettivi chiari, e che vengano raggiunti.
D’altronde, quando noi studenti facciamo un esame, non ci viene chiesto quante ore abbiamo passato sui libri, ma di dimostrare che abbiamo raggiunto dei risultati e appreso gli argomenti" affermano. Insomma, la tanto chiaccherata svolta green europea, oltre a essere di facciata, rischia innanzitutto di rivelarsi una colossale fregatura per l'Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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