Ai tavoli ministeriali in cui ci si confronta su come gestire il reddito di cittadinanza grillino, molte Regioni stanno mettendo le mani avanti: impossibile farlo partire ad aprile se a fine novembre ancora non si sa nulla di come funzionerà. Ma c'è una regione, la Basilicata, che fa eccezione: «Noi siamo pronti», dice orgoglioso Antonio Fiore, amministratore del Lab, l'agenzia regionale che coordina i centri per l'impiego lucani. La piccola regione del Sud ha un vantaggio: da molti anni ha avviato una serie di esperimenti di antenati del reddito di cittadinanza che, sostiene Fiore, vengono elogiati ai tavoli ministeriali e portati ad esempio.
L'Istituto Einaudi ha studiato il modello Basilicata e l'altro esempio già esistente di reddito di cittadinanza, che è quello campano, meno strutturato e più discontinuo nel tempo. Il centro studi li elogia perché in effetti forniscono un sostegno a chi è in difficoltà, ma segnala un effetto collaterale che dovrebbe preoccupare il dicastero che elogia il modello, il ministero del Lavoro al cui comando c'è Luigi Di Maio. «Emerge purtroppo con chiarezza -si legge nello studio- la poca incisività dei percorsi di attivazione lavorativa, che faticano da soli ad incidere positivamente sulla futura occupabilità dei beneficiari». Il problema, insiste la ricerca «Se da un lato le amministrazioni hanno tentato di dare una risposta al problema della povertà agendo dal lato dell'offerta del mercato del lavoro», in aree fortemente depresse come quello del Sud Italia, «permangono alcuni dubbi sulla possibilità di buona riuscita di queste misure senza agire contemporaneamente anche sul lato della domanda attraverso misure mirate di sviluppo economico che favoriscano la creazione di un bacino di assorbimento occupazionale». Una tabella Eurostat riportata dai ricercatori dell'Einaudi chiarisce meglio il concetto: nei dieci anni di applicazione dei sussidi presi in considerazione dallo studio (2005-2015), la disoccupazione di lunga durata è aumentata di dieci punti percentuali. La «disoccupazione perenne» in Basilicata riguarda il 65,2 di chi si trova senza lavoro e in Campania il 68,4 per cento. In assenza di politiche per il lavoro, praticamente assenti anche nella manovra del governo gialloverde, il sussidio finisce per incatenare chi lo riceve allo stato di disoccupazione assistita in cui si trova. Esattamente come ipotizzava chi sostiene che il limite delle «tre offerte di lavoro rifiutate» non ha senso in Regioni in cui trovarne anche una sola è impresa non facile.
«Le persone che lo ricevono -spiega Gianni Rosa, consigliere regionale di Fratelli d'Italia, uno dei pochi che si è opposto al sussidio voluto dai governi regionali a guida Pd- sono sempre le stesse, rimangono a vita sussidiate e qualcuna sta scoprendo solo ora che arrivata alla pensione non ha versato un euro di contributi».
In Basilicata il sussidio ha assunto varie forme e nell'ultima versione si è deciso di dirottare il 50% delle risorse alla creazione di posti di lavoro. Il paradosso è che la Regione finanzia il sussidio grazie alle royalties dell'estrazione petrolifera. Cioè l'attività contro cui si battono i grillini.
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