Dice: diradiamo la nebbia sul referendum. Bene, diradiamola. Senza chiederci chi l'abbia fatta calare. Dice: ho cercato di sparecchiare il tavolo da tutti i problemi. Ottimo, sparecchiamo. Dice: parliamo solo di referendum, non più delle cose personali. Meraviglioso, parliamone nel dettaglio.
Per cominciare il premier Matteo Renzi, che nella giornata del confronto con i partigiani comincia a darci il buongiorno già da Unomattina su Raiuno, provi a spiegare bene che cosa c'entri con il referendum l'ultima delle mirabolanti e strampalate promesse. «Se passa il Sì al referendum ci sarà un fondo di 500 milioni per la povertà. Se passa il referendum la cinghia la stringono i politici». Cominci da lì, da meno di 50 milioni l'anno (forse, chissà) di risparmi, che per arrivare a 500 ne dovrebbero passare dieci, di anni.
Il premier già dal mattino ha «accarezzato» i partigiani con l'aria di voler chiudere i conti, voltare pagina, passare ad altro. «Al presidente Anpi, Carlo Smuraglia, dirò che grazie ai partigiani c'è la democrazia».
Poi in serata alla Festa dell'Unità di Bologna tra Renzi e Smuraglia lo scontro si è fatto acceso. Il primo a parlare è stato il presidente dell'Associazione dei partigiani: «Il referendum è il momento più alto della vita democratica e va rispettato. Ci schieriamo sul referendum perché nel nostro statuto c'è come obiettivo la difesa della Costituzione e questa è una riforma che vuole stravolgere il suo spirito. Per noi è una riforma che danneggerebbe il Paese. Sarebbe un danno per il Paese se passasse questa riforma, quindi ci battiamo perché non passi. Ma non ci riguarda la questione del governo e del presidente del Consiglio. Il governo cade quando non ha la fiducia, non lo decide un'associazione o un referendum».
La replica del capo del governo - che alla Festa di Bologna è stato ad ampi tratti contestato e ha litigato con il pubblico - non si è fatta attendere: «Si può votare sì, si può votare no. Ma dire che è in gioco la democrazia è una presa in giro per il popolo italiano. Il nostro è un Paese con un eccesso politici e poca politica, soprattutto negli ultimi anni. Il bicameralismo paritario non esiste in nessun altro Paese e non lo volevano né Dc né Pci». E sull'Anpi aggiunge: «Mi sarebbe piaciuto sentire parole più chiare quando la settimana scorsa uno che si chiama Grandi dalla Gazzetta di Lucca ha detto che il traditore Renzi andrebbe messo al muro e fucilato. Non ho sentito una parola a difesa del presidente del Consiglio.
Sul referendum Renzi fa intanto sapere che della data si parlerà nel Consiglio dei ministri del 26 settembre. L'orientamento, trapela da Palazzo Chigi, sarebbe ormai per il 27 novembre, quando la legge di Stabilità sarà passata alla Camera (ma ancora suscettibile di modifiche al Senato; strategia che non preclude l'utilizzo delle promesse economiche nella fase finale della campagna elettorale, nonostante il Quirinale chieda di «sterilizzare» il voto per scongiurare ripercussioni negative da una vittoria del No).
Sempre per «sparecchiare il tavolo» e parlare del merito, nella partita delle nebbie renziane ci si è infilato l'Italicum da modificare. Stupefacente il modo in cui il premier ieri ha liquidato la vicenda: la legge «è ottima, il problema è che al ballottaggio può vincere uno con pochi voti. Se qualcuno ha delle idee migliori le tiri fuori, altrimenti è un dibattito surreale. Chiederemo agli altri partiti quali sono le loro idee.
Attendo qualcuno che faccia proposte». Ma non era chiaro (persino al supporter Napolitano) che l'onere della proposta di modifica spetta a chi la ritiene e riteneva talmente «buona» da porre per ben tre volte la fiducia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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