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Il referendum si può. Sull'indipendenza Londra apre alla Scozia

Il ministro Gove: "Se i cittadini lo vorranno nulla in contrario". Sturgeon: "Sono falsi"

Il referendum si può. Sull'indipendenza Londra apre alla Scozia

Tra realtà e finzione il simbolo di William Wallace non tramonta. É stato persino rievocato dal quotidiano The National, che l'11 luglio già nel sottotitolo supportava l'indipendenza della Scozia, sostenendo la nazionale di «Braveheart Mancini» come «nostra speranza finale». Tuttavia dall'Act of Union del 1707, la Scozia è una home nation del Regno Unito, di fatto subordinata a Londra. Tutto questo però potrebbe cambiare, almeno dopo l'intervista apparsa ieri sul Sunday Mail a Michael Gove, braccio destro di Boris Johnson. In sintesi il ministro dell'ufficio di Gabinetto ha spiegato che il governo britannico sarebbe pronto ad accettare un nuovo referendum sull'indipendenza in Scozia se ci fosse una chiara volontà popolare in tal senso. «Una nuova consultazione potrebbe tenersi, dopo quella del 2014, qualora venisse percepita una volontà consolidata tra la gente. Il principio secondo cui il popolo scozzese, nelle giuste circostanze, può porsi di nuovo la domanda se vuole separarsi dal Regno Unito rimane ancora intatto».

Le conquiste garantite agli scozzesi al concludersi del ventesimo secolo, attraverso il processo della devolution, hanno alimentato il forte sentimento nazionalista, che ha poi spinto i cittadini a richiedere ed ottenere un referendum sull'indipendenza nel 2014. Dopo mesi di propaganda il risultato del voto fu per il 55% in favore del mantenimento dell'Unione, facendo tirare un sospiro di sollievo ai conservatori. Nonostante ciò, il referendum ha rappresentato uno strappo nell'arazzo della storia del Regno Unito, dopo più di tre secoli sotto uno stesso governo centrale. Durante il 2020, il sostegno all'indipendenza scozzese ha raggiunto il 58% secondo i sondaggi, ma è diminuito nel 2021 di dieci punti.

La rivendicazione dell'autonomia da Westminster è tornata di moda dopo il voto in favore della Brexit, un evento che ha stravolto tutto il panorama europeo. Difatti, sebbene Cameron avesse autorizzato il referendum come un'opportunità unica, da non ripetersi almeno per una generazione, il processo di uscita dall'Unione Europea ha cambiato radicalmente le condizioni in cui gli scozzesi erano andati alle urne. Nel referendum del 2014, uno degli argomenti contro il «sì» all'indipendenza riguardava proprio l'Ue. Se la Scozia si fosse resa indipendente dal Regno Unito, si sarebbe sganciata automaticamente anche da Bruxelles. Tanto è vero che nel 2016 il voto della Scozia e dell'Irlanda del Nord hanno registrato un trend inverso rispetto al resto della Gran Bretagna, con una maggioranza rispettivamente del 62% e 56% a favore dell'Ue.

Sulle dichiarazioni di Gove al Sunday Mail è intervenuta la premier scozzese Nicola Sturgeon, leader del partito indipendentista SNP, definendolo «un arrogante, come del resto qualsiasi altro ministro del governo del Regno Unito. La loro è una falsa accondiscendenza, in realtà si rifiutano di accettare la democrazia scozzese e accrescono nel popolo sostegno alla disconnessione».

Al netto dei possibili entusiasmi generati dall'apertura di Gove, ci sono tutta una serie di aspetti che inducono alla moderazione. Con le indebolite probabilità di una riunificazione irlandese e la barriera venutasi a creare con gli accordi commerciali tra Bruxelles e Regno Unito, le possibilità di un'indipendenza sembrano al momento ostacolate. La lotta sarebbe poi ulteriormente aggravata dalla mancanza di procedure specifiche impugnabili a seguito della Brexit dagli scozzesi. Un'altra annosa questione è quella dell'adozione di una moneta unica a cui la Scozia già si era sottratta nel 2015.

Aderire all'euro vorrebbe dire per Glasgow adottare il meccanismo dei tassi di cambio e un nuovo modello economico.

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