Regole dure, una task force e termometri. Così Momoh Konte protegge 265mila persone

Regole dure, una task force e termometri. Così Momoh Konte protegge 265mila persone

Qui l'Ebola non esiste. Intorno muoiono a centinaia, decine si infettano ogni settimana, ma Koinadugu è salvo. Dodicimila chilometri quadrati di territorio, uno spicchio d'Africa poco più grande dell'Abruzzo, incastonato tra Sierra leone e Guinea: senza ammalati e senza virus, un miracolo nell'era della grande paura.

Merito di un uomo, non un medico, ma un esperto di telecomunicazioni, che ha lasciato Washington per tornare a Koinadugu, dove è nato, e creare il primo Ebola free-district. Si chiama Momoh Konte, e sta spendendo la sua vita per tenere lontano dalla sua terra il più temibile virus conosciuto del terzo millennio. Ha iniziato comprando qualche mascherina, ora gli epidemiologi di tutto il mondo studiano il caso dello spicchio di universo in Sierra Leone privo di contagio con il metodo Momoh.

Nei giorni scorsi si era sparsa la voce del mito caduto: due infettati nella regione che tiene l'Ebola lontana dai suoi confini. Ma è stato lo stesso Konte a smentire: i malati erano entrati clandestinamente dal vicino distretto di Kono, e al momento nessun operatore risulta essere stato contagiato. Konte sa che il privilegio della salvezza non potrà durare per sempre. È già pronta la misura estrema: la task force anti-Ebola di Koinadugu brucerà le case delle eventuali vittime del virus e verranno forniti alle famiglie i mezzi per ricostruirle.

Il primato per ora resta: 265mila abitanti e zero ammalati di Ebola. La posizione geografica aiuta. Koinadugu, regione agreste, è incuneato tra le montagne, le vie di comunicazione sono poche. Ma senza interventi mirati, nemmeno l'isolamento avrebbe potuto scongiurare il rischio di infezione dalle regioni vicine, soprattutto dalla Guinea, il focolaio numero uno dell'epidemia.

Il piano di attacco, racconta Momoh, è stato pensato in modo logico. «Io non sono esperto di Ebola», si schernisce.

Quarantatre anni, studi ad Harvard, Konte lasciò Kabala, la capitale, da ragazzo. All'estero ha studiato anni per sviluppare l'industria delle telecomunicazioni in Sierra Leone. Nell'ultimo anno, l'idea della sfida: l'Ebola a Koinadogu non deve arrivare. I contati politici hanno senz'altro aiutato la sua ambizione di diventare il salvatore della sua piccola patria.

Per prima cosa Momoh ha messo mano al portafoglio. Duemila euro spesi in guanti e mascherine, distribuiti ai poliziotti e ai medici che lavorano alla frontiera. Si è presentato a Freetown con varie cisterne di cloro, un marziano piombato dal mondo ricco con enormi taniche disinfettanti, e ha iniziato a chiedere l'aiuto di tutti. Ha convocato addirittura i tassisti, per spiegare come raccontare ai clienti i sistemi per prevenire l'epidemia durante le corse.

Le cisterne di cloro sono state distribuite alla frontiera, nelle strade, nelle moschee e nelle chiese. Anche la messa della domenica è diventata un'occasione per istruire la popolazione. I check-point al confine sono stati riforniti di termometri per evitare l'ingresso ai febbricitanti. Su impulso di Konte, le norme di ingresso a Koinadugu anche dal punto di vista amministrativo sono diventate strettissime: chi entra deve mostrare un documento che attesti l'invito da parte di un residente nel distretto.

Per Momoh ora iniziano i problemi. Le regole non piacciono a tutti, la sua visibilità forse nemmeno.

La lobby dei fattori attacca le severe misure imposte dall'uomo che vuole cacciare l'Ebola senza badare a interessi di categoria. «Li capisco», ammette Konte conciliante. Ma una buona parte della popolazione è con lui. Finché Koinadugu sarà libero dal male.

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