N eanche il tempo di insediarsi, è già la poltrona europea di Paolo Gentiloni scotta. È il segnale che il percorso dell'ex premier, designato ieri commissario agli Affari economici dell'Ue dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sarà verosimilmente accidentato. Sentita la volontà italiana di riformare il Patto di stabilità, l'Austria ha cominciato subito a cannoneggiare Roma per mezzo del suo Cancelliere, Sebastian Kurz: «L'Italia non può diventare una seconda Grecia. In ogni caso, non siamo disposti a pagare i debiti dell'Italia. Respingiamo categoricamente un ammorbidimento delle regole di Maastricht come chiesto dall'Italia». Niente male, come benvenuto.
L'aut-aut austriaco va peraltro ad accompagnarsi alla decisione di affiancare a Gentiloni un falco dell'austerity come il lettone Valdis Dombrovskis, mai stato tenero con l'Italia. Sarà vicepresidente della Commissione, con poteri esecutivi. Insomma, un cane da guardia dell'ortodossia del rigore. O un badante. Per quanto il governo Conte-bis sia nato con la benedizione di Bruxelles, difficile che tutto gli sia permesso. «Le regole della flessibilità sono chiare», ha ammonito von der Leyen. E strappare ampi margini di flessibilità non sarà facile, nonostante un quadro congiunturale in peggioramento. L'ultimo segnale è arrivato ieri dalla produzione industriale, scesa in luglio dello 0,7%, con la spia rossa accesa nel settore dell'auto (-14% su base annua). E a un'Italia impaludata, a un soffio dalla recessione, guarda con preoccupazione anche Moody's, che per quanto convinta che il nuovo governo «darà stabilità politica», mette l'accento sugli «elevati livelli di debito pubblico che difficilmente diminuiranno nei prossimi anni», sulla «crescita lenta e la mancanza di un'agenda di politica economica coerente». Risultato: le stime di crescita del Pil 2019 sono state tagliate da +0,4 a +0,2%.
Altri ostacoli potrebbero arrivare dalla Bce. Con il passare delle settimane, e con l'approssimarsi della riunione in calendario domani, gli spazi per un nuovo round di Quantitative easing sono via via stati soffocati dalle voci all'interno del consiglio contrarie a una sua riproposizione. Il fronte avverso, solitamente composto dalla Bundesbank di Jens Weidmann, dall'Austria e dai Paesi nordici, si è allargato fino a includere la Francia e altri membri dell'istituto di Francoforte. I punti su cui i dissidenti fanno leva sono sostanzialmente due: le aspettative dei mercati sono mal riposte; gli Stati devono darsi una mossa, dando corso alle riforme strutturali e alle politiche fiscali e smettendola di far affidamento sulle stampelle della banca centrale. Malgrado l'economia in frenata nell'eurozona, molti ritengono inoltre necessario il rinvio di qualsiasi misura d'emergenza fino a quando i rischi derivanti dalla trade war Usa-Cina e dall'uscita di Londra dall'Ue non saranno più chiari.
Draghi dovrà quindi mettere in campo tutta la propria abilità di persuasione per riportare dalla sua parte chi non è d'accordo. Non sarà facile. L'uscita non concordata al forum di Sintra dello scorso giugno, quando l'ex governatore di Bankitalia aveva prospettato l'utilizzo di qualcosa di più del bazooka (e corroborato da un taglio dei tassi e dall'allungamento della forward guidance), sembra aver aumentato l'irritazione fra i componenti del board.
La crescente ostilità nei confronti di un ampio pacchetto di misure di stimolo potrebbe inoltre essere un segnale mandato a Christine Lagarde, che dal primo novembre prenderà il posto di Draghi, affinché presti maggiore orecchio alle opinioni di tutti i governatori e riporti quindi nell'alveo della collegialità, come ai tempi di Jean-Claude Trichet, le decisioni strategiche della Bce.
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