«Tutti i giorni leggo polemiche tra politici e magistrati. Un film già visto per troppi anni». Un «film» dal quale Matteo Renzi si tira fuori, stando ben attento a non cadere in quelle che i suoi definiscono le «provocazioni» dell'ala militante della magistratura, che ha trovato il suo pasdaran in Piercamillo Davigo.
Il premier si tiene a distanza: la sua, contro la «barbarie giustizialista», l'ha detta molto chiara, e metteva in conto la reazione furente. La novità interessante, agli occhi del Pd renziano, è un'altra: è la spaccatura verticale interna alla magistratura, che mai era apparsa tanto vistosa come in questo frangente. E con quella parte delle toghe che rispetta la separazione dei poteri, il governo apre le porte alla «sinergia e leale collaborazione», evocata dal Guardasigilli Andrea Orlando che sottolinea come i risultati raggiunti con le riforme nel settore giustizia siano «patrimonio del paese, e non dell'esecutivo: per questo dobbiamo evitare di travolgerlo con le polemiche quotidiane».
Lo stesso fa Renzi, richiamando ognuno al proprio ruolo: «Ammiro i moltissimi magistrati che cercano di fare bene il loro dovere. E anche i moltissimi politici che provano a fare altrettanto. Il rapporto tra politici e magistrati deve essere molto semplice: il politico rispetta i magistrati e aspetta le sentenze. Il magistrato applica la legge e condanna i colpevoli. Io rispetto i magistrati e aspetto le sentenze», scrive il premier nella sua newsletter. Toni quasi asettici, che non prestano il fianco allo scontro. Che del resto si è spostato tutto all'interno del mondo giudiziario: dal Csm (con la benedizione di Mattarella) alla stessa Anm, le tirate di orecchie a Davigo e alla sua dichiarazione di guerra alla politica tout court si sprecano. Per non parlare del capo dell'Anac Cantone, che sottolinea i passi avanti del governo contro la corruzione e ricorda a Davigo che la sua Mani Pulite «ha fallito».
A Palazzo Chigi è chiaro che la «crociata» aperta dal neo presidente Anm non è un caso, bensì la rumorosa scesa in campo di un fronte che si prefigge la guerra preventiva alle linee di riforma del suo governo: sul terreno della giustizia (a cominciare dalla nuova legge sulle intercettazioni) e su quello della revisione costituzionale, che punta a rendere più snello ed efficiente il sistema. Restituendo più potere decisionale alla politica: e non è un caso se, contro, siano scesi in campo per difendere lo status quo correnti della magistratura (Md) e pezzi della potente lobby giuridico-burocratica (vecchi presidenti della Consulta e «professoroni» irrisi dal premier). Nei prossimi mesi la guerra, che Renzi dipinge come scontro tra «il vecchio e il nuovo», si farà incandescente, e si useranno tutte le armi: l'inchiesta di Potenza, con i suoi fiumi di intercettazioni penalmente irrilevanti ma politicamente delegittimanti, è stata «solo l'antipasto», pensano in molti nel fronte pro-Renzi. Non è un caso, del resto, se Beppe Grillo si è precipitato a mettere il proprio cappello sul Davigo-pensiero: «Non è contro il governo, è contro i corrotti. Se le cose coincidono la colpa non è di Davigo», dice l'ex comico.
Peraltro lo stesso Davigo, nel gennaio del 2015, fece da testimonial al «Vaffa Day» grillino, partecipando a un video promozionale sul blog dei Cinque Stelle, come Dario Fo e Sabina Guzzanti: «Manifestazione indispensabile», disse. E al fronte cercano ora di aggregarsi anche leghisti e sinistra anti-Pd. Tutti insieme appassionatamente.
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