Tra Renzi e Delrio cala il grande freddo

Gaffe e divergenze caratteriali, ecco che cosa il premier non ha più perdonato al sottosegretario

Tra Renzi e Delrio cala il grande freddo

Da braccio destro a «sgabello». Così, con quel nomignolo sprezzante da capo verso i sottoposti, Renzi chiama i suoi ministri e sottosegretari (e aggiunge: «meno parlate meglio è»). Dal cerchio (o giglio) magico del premier tuttofare alla fine è uscito pure l'ex numero due, Graziano Delrio, per accomodarsi anche lui tra gli «sgabelli». Dalle stanze di Palazzo Chigi arrivano spifferi del grande freddo calato tra i due, dopo che Delrio aveva fatto, nelle prime settimane, da Virgilio nella selva della politica romana (e come tramite col Quirinale) per il giovin Rottamatore, sceso col Frecciarossa da Firenze e poco avvezzo alla Roma degli intrighi e dei palazzi. Delrio, 15 anni più di Renzi, già ministro con Letta e già presidente dell'Anci, sembrava destinato al ruolo di «Gianni Letta» del premier-segretario Pd, ma il feeling dei primi giorni si è rotto. Divergenze caratteriali, uno (Renzi) che preme sull'acceleratore e punta all'annuncio da titolo sui giornali, l'altro (Delrio) che frena e scoraggia le intemerate senza paracadute.
Di mezzo, poi, ci si è messo il terzo, Luca Lotti, un renziano puro, giovanissimo e senza precedenti affiliazioni politiche che possono risultare sospette a Renzi (e che invece ha Delrio, cattolico ex Margherita, legato al mondo dell'Anci, renziano della seconda ora), fidatissimo nel senso che Renzi intende, cioè uno che esegue senza «cacare dubbi», come invece fa Delrio.
Tra Renzi (sterminatore di «delfini», appena crescono più del dovuto...) e Delrio non c'è più l'intesa perfetta, ma neppure una rivalità aperta. «È una voce che nasce dall'invidia, tanti vorrebbero prendere il suo posto» ti dicono dalla cerchia dell'ex sindaco di Reggio Emilia, «in realtà il progetto iniziale, il partito dei sindaci che cambia verso alla politica romana, ha bisogno sia di Renzi che di Graziano». Le invidie, of course, sarebbero tutte interne al Pd di governo. «I giovani renziani in carriera, contro i renziani ex democristiani» sintetizza un ex Popolare, che traccia una mappa. Quell'onda bianca che nell'Emilia-Romagna di Delrio ha preso il posto degli ex Pci (lui è stato il primo sindaco non comunista di Reggio Emilia) e che arriva fino a uno dei papabili candidati alla presidenza della Regione, dopo il bersaniano Errani, cioè Matteo Richetti, anche lui ex Margherita. Per la successione emiliana era uscito anche il nome di Delrio, è qui torna l'invidia. Perché la convizione attorno al sottosegretario è che la voce sia stata messa in circolo proprio dagli amici, e in particolare dagli ambienti vicini al «rivale» sottosegretario Lotti. Un segnale per fargli capire che se se ne andasse da Palazzo Chigi i colleghi di governo non si straccerebbero le vesti, anzi. Un'indiscrezione - ed è significativo - smentita seccamente da Delrio. Contromessaggio: resto dove sono, cari compagni.
Sono più i renziani che non Renzi a volersene liberare. Il Capo, anzi, lo usa ancora su certi dossier caldi, lo fa parlare - ad esempio - con Carlo De Benedetti, che prima incontrava direttamente Renzi, e che adesso invita a casa sua Delrio. Ma non è l'esecutore che serve a Renzi, spietato nel tagliare teste. Delrio è entrato nel cono d'ombra in fretta, accelerato anche da qualche gaffe mediatica, che il capo perdona poco. Come la tassa sui Bot, annunciata nella sua prima intervista tv da sottosegretario e subito smentita nervosamente dal suo stesso governo (leggi: Renzi). Poi le ultime uscite, in alcune interviste, in cui Delrio si è avventurato in questioni di finanza europea, territorio del ministro Padoan e ovviamente di Renzi (tutti i territori sono suoi), parlando della necessità di varare gli euro bond. Il ministro del Tesoro, che si è conquistato uno spazio di manovra rilevante, lo ha subito zittito: «Non è una questione all'ordine del giorno».
Di mezzo, poi, oltre a invidie e sospetti, c'è anche Palazzo Chigi. Renzi vuole ribaltarlo perché ha capito che la burocrazia interna lo azzoppa. E avrebbe puntato una poltrona, quella del segretario generale Mauro Bonaretti, ex dg del Comune di Reggio Emilia, lì chiamato appunto da Delrio.

Al suo posto il premier (che ha già infilato la sua ex direttrice generale al Comune di Firenze, Antonella Manzione, che pare stia faticando parecchio a Palazzo Chigi) punta a mettere uno dei suoi, Raffaele Tiscar (in passato consigliere comunale Dc a Firenze). Sempre con l'effetto di ridimensionare Delrio. Dalla poltrona allo sgabello...

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