Renzi e Padoan si arrendono: niente crescita, Pil al ribasso

Governo rassegnato: il trend dell'economia a fine anno si attesterà sotto il sospirato 1%. Stime tutte da rivedere

Un flop annunciato. L'ammissione del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, è giunta ieri e ha destato clamore, perché ha confermato quello che le statistiche continuano a dire da un paio di mesi. «L'economia italiana sta crescendo non così velocemente come vorremmo vedere», ha dichiarato sottolineando che «le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso anche nei dati che il governo sta per rilasciare nell'aggiornamento al Def».

Il premier Matteo Renzi ha cercato di rivoltare la frittata, ponendo l'enfasi sulla inversione del ciclo macroeconomico. «Noi diciamo la verità, non barzellette, i dati sul Pil sono tornati positivi, ma non è abbastanza, non vanno con la velocità che vorremmo», ha commentato ricordando che «siamo partiti da un -2,3% del 2012 e dal -1,9% del 2013». Tutto vero, ma adesso il problema è un altro. Ieri l'Istat ha posto una pesante ipoteca sulla crescita economica del 2016 con il dato della produzione industriale di luglio che è tornata a crescere su base mensile (+0,4%) dopo due mesi di calo, ma ha continuato a evidenziare una flessione su base annua (-0,3%, -6,3% il dato grezzo non corretto per gli effetti di calendario). Su tredici settori manifatturieri, quasi la metà (6) sono in calo su base annua, l'unica notizia positiva è la ripresa dell'auto (+4,7%) dopo la battuta d'arresto di giugno. Ma, come osserva Intesa Sanpaolo, anche se l'industria fosse in ripresa dopo i recenti stop, il Pil del trimestre in corso potrebbe al massimo crescere dello 0,1 per cento. Un valore che potrebbe trasformarsi in un +0,8% a fine. Addirittura un +0,9%, ma per l'1% auspicato fino a poco tempo fa dal governo servirebbe di più.

Fonti del ministero dell'Economia hanno cercato di tranquillizzare l'opinione pubblica osservando che le notazioni di Padoan non rappresentano una sorpresa giacché nella Nota di aggiornamento al Def, che sarà presentata entro il 27 settembre, lo scenario sarà coerente con le indicazioni macroeconomiche più recenti (dunque +0,8/+0,9% rispetto all'1,2% della precedente versione). Anche la crescita 2017 sarà rivista al ribasso dall'1,4% a un valore di poco superiore all'1%, presumibilmente. Questo vuol dire che il deficit/Pil di quest'anno dovrebbe attestarsi tra il 2,4 e il 2,6%, mentre l'anno prossimo sarà sicuramente superiore al 2% dall'1,8% sperato. Il debito/Pil resterà mastodontico sopra il 133% nel 2016, l'anno prossimo si vedrà.

Stilare la legge di Bilancio con queste condizioni iniziali cui si aggiunge un'inflazione prossima allo zero e con 15 miliardi di clausole di salvaguardia da disinnescare sull'Iva (che l'Europa potrebbe chiedere di aumentare parzialmente proprio in virtù dei conti preoccupanti) è un'operazione di cesello. Il taglio dell'Irpef non sarà anticipato ma restano da finanziare i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici (il recupero dell'inflazione costa 1,2 miliardi), gli sgravi per le imprese (superammortamento e detassazione dei salari di produttività fino a 80mila euro di reddito potrebbero impegnare fino a 1,7 miliardi), poi ci sono gli oltre 3,5 miliardi per la cosiddetta flat tax sui redditi di impresa (taglio Ires compreso).

Il capitolo pensioni (Ape e quattordicesima) costa infine 2 miliardi. E come se non bastasse il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha pure detto che «l'intesa con il sindacato non è scontata perché le risorse non sono sufficienti». Lo stillicidio proseguirà.

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