I più prudenti tra i suoi, quelli con più uso di mondo, glielo ripetono spesso: «Matteo, attento a non metterti tutti contro, non farti troppi nemici». E si riferiscono ad una categoria particolare di nemici da cui guardarsi: quelli che detengono, a vario titolo, il potere e possono, al momento giusto, restituirti lo sgarbo con gli interessi.
Ma l'uno contro tutti, dall'inaugurazione della Rottamazione in poi, è da sempre il modulo di gioco preferito da Matteo Renzi, che ha collezionato nemici come francobolli, cominciando con D'Alema (trombato per la Ue) e Letta («stai sereno»). Nella tempestosa vicenda Bankitalia ieri è spuntato anche un appello al Quirinale e al capo del governo, firmato da una quarantina di docenti di economia di area cattolica e (soprattutto) di sinistra, per difendere a spada tratta la riconferma del governatore Visco e chiedere alla «politica» (leggi Renzi) di fare un «passo indietro» dopo la «irrituale mozione», «lesiva dei poteri di indicazione e nomina» di premier e presidente. Le firme pro-Visco vanno da Salvatore Biasco a Filippo Cavazzuti, da Fabrizio Onida a Marcello Messori a Nicola Rossi.
Una nuova lista di nemici per Renzi? Non proprio, visto che per la maggior parte si tratta di intellettuali della sinistra anti-renziana, mai stati vicini al nuovo corso Pd: «Ci sono più ex consiglieri di D'Alema in quell'elenco che in Mdp», ironizza un esponente Pd. Ma, anche senza di loro, l'elenco è lungo. E quel che più allarma i renziani prudenti è che, in cima a quell'elenco, da quando è scoppiato il caso Bankitalia, ci sono personaggi dal cui ruolo e sfera di influenza è difficile prescindere, quando si fa politica con ambizioni di governo. A cominciare da Sergio Mattarella, che di mestiere fa il capo dello Stato e che non ha voce in capitolo solo nella scelta dei governatori della Banca centrale, ma anche in quella degli inquilini di Palazzo Chigi. «Mettersi in rotta di collisione con colui che non solo darà l'incarico per formare il nuovo governo, ma che dovrà gestire politicamente un inizio legislatura sicuramente difficile, non è un'idea geniale», sospira un esponente Pd. Poi, nella testa di lista, viene aggiunto da molti un nome altrettanto pesante: quello del potentissimo Mario Draghi, che pubblicamente non si è esposto ma che molti descrivono come grande sponsor di Visco. E di Draghi si parla ricorrentemente anche come possibile salvatore della Patria, una volta uscito dalla Bce: è al lui che pensano i tanti - da Bersani e D'Alema in su - che sognano un futuro governo di larghe intese guidato da una figura in grado di relegare nell'irrilevanza l'attuale leader del Pd. «E Renzi - assicura un sincero antipatizzante dell'ex premier - sa bene che quella è per lui la variabile più temibile, quindi l'idea di assestare un calcetto negli stinchi a Draghi, per interposto Visco, può non essergli estranea».
Se Paolo Gentiloni, nonostante la bufera, non perde l'aplomb e riconferma «ottimi rapporti» col capo Pd, nel governo il malumore anti-Renzi è esteso: da Orlando a Padoan a Calenda fino alla Finocchiaro (i cui sms critici verso il segretario sono misteriosamente emersi ieri su Repubblica).
Ha rispostato la tenda Prodi, offeso perché Renzi ha ricordato che anche lui nel 2005 aveva chiesto un ricambio a Bankitalia. Si è indignato Napolitano. E anche Veltroni, che solo pochi giorni fa officiava il decennale del Pd con Renzi, ha stigmatizzato il leader Pd.
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