Le campane suonano ancora una volta a morto sulla nostra economia. E la vera battaglia che il governo si appresta a combattere a ottobre non è sul referendum ma sulla prossima legge di Stabilità. Perché il problema più grande che affligge l'esecutivo rimane la mancata crescita.
Gli indicatori economici non sono positivi e gli organismi internazionali tagliano le stime sul Pil. L'Fmi ieri ha ritoccato al ribasso le stime di crescita di 0,1 punti percentuali: il Pil dell'Italia si fermerà allo 0,9% nel 2016 e all'1% nel 2017. A pesare, secondo il Fondo monetario, è la Brexit. «Lo choc arriva nel mezzo di vecchie questioni irrisolte per il settore bancario, in particolare per le banche italiane e portoghesi», aggiungono gli esperti di Washington sottolineando che «le turbolenze protratte sui mercati finanziari e potrebbero intensificare le tensioni bancarie, in particolare nelle economie vulnerabili». Qualche giorno fa la Banca d'Italia si era espressa analogamente, calcolando che gli effetti del Leave del referendum britannico potrebbero collocare la crescita del nostro paese poco sotto l'1% quest'anno e attorno all'1% nel 2017. Anche senza l'effetto Brexit le stime non erano incoraggianti. L'ultima nota mensile dell'Istituto nazionale di statistica sull'andamento della nostra economia, diffusa circa dieci giorni fa, parlava di «ulteriore decelerazione del ritmo di crescita». Nel secondo trimestre dell'anno è peggiorato inoltre il clima di fiducia delle famiglie.
La produzione industriale ha registrato a maggio il primo calo tendenziale dell'anno (-0,6%). A giugno si è visto il quinto mese di fila di calo annuo per l'inflazione (-0,4%). L'occupazione continua a tenere, ma le aspettative degli imprenditori per il futuro si possono definire tiepide. L'Inps ha poi certificato una battuta d'arresto nei primi 5 mesi dell'anno delle assunzioni a tempo indeterminato (-78% rispetto allo stesso periodo del 2015).
La strada per il governo da qui alla prossima manovra si fa, perciò, sempre più stretta e piena di ostacoli, nonostante l'ottimismo fino a qualche giorno fa manifestato dal ministro Pier Carlo Padoan sui fondamentali dell'economia. Il piano del governo per la prossima manovra è ambizioso ma se la Brexit dovesse pesare, secondo alcune stime, per 4 miliardi di euro sul deficit nel biennio 2016-2017 si capisce come all'appello manchino diversi miliardi. Occorre disinnescare le clausole di salvaguardia, pena l'aumento dell'Iva, che valgono circa 15 miliardi. Che solo in parte potrebbero essere coperti con la flessibilità concessa dalla Ue. Sul tavolo poi c'è l'impegno di Padoan, ribadito di recente alla platea di Confcommercio, di alleggerire il peso che grava sulle imprese con la riduzione dell'Ires, a regime per 4 miliardi di euro.
Ma il governo Renzi ha più volte lasciato intendere la volontà di dare un segnale forte ai ceti medi bassi.
In quest'ottica si potrebbe inserire il taglio di un punto dell'aliquota più bassa dell'Irpef (dal 23% al 22%) operazione che costerebbe allo stato circa 2 miliardi di euro. Poi ci sono il bonus per i neonati e quello per le pensioni minime con l'estensione degli 80 euro. Insomma la lista è lunga e la coperta è corta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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