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Renzi si lecca le ferite sul Pil ma incassa la prima vittoria: addio al bicameralismo

Il premier sulle minacce di Draghi: "Ha ragione. Tutta l'Europa rifletta cui conti che non vanno"

Renzi si lecca le ferite sul Pil ma incassa la prima vittoria: addio al bicameralismo

Esausti e snervati dalle sceneggiate grilline che hanno interrotto a più riprese le raffiche di votazioni sulle migliaia di emendamenti, i senatori della Repubblica si accingono a dare stamattina il primo via libera alla fine del bicameralismo all'italiana.

Un applauso di sollievo, alle 19.35 di ieri, ha salutato l'annuncio del presidente Piero Grasso: «Abbiamo esaurito il voto degli emendamenti e degli articoli, con congruo anticipo sui tempi previsti». Stamattina ci saranno le dichiarazioni e il voto sul complesso del disegno di legge. Si tratta senza dubbio di un primo successo per le riforme del governo Renzi, conseguito come ci si era prefissi prima della pausa estiva: «Scommettevano che non ce l'avremmo fatta e invece ci siamo riusciti», esulta il premier. Rivendicando le ragioni per cui ha voluto dare priorità a questa riforma: «E' fondamentale perché dimostra che la politica non sa solo chiedere sacrifici, ma anche farli. E con questa autorevolezza morale ora possiamo chiedere anche alla pubblica amministrazione di cambiare sè stessa». Ma il premier stamani con ogni probabilità non sarà in aula a suggellare il successo, in diretta tv, come aveva inizialmente annunciato. Meglio evitare una nuova occasione di bagarre, gli hanno consigliato dallo stesso gruppo Pd, consapevoli che le opposizioni (Movimento Cinque stelle in testa) non aspettavano altro per organizzare un nuovo rodeo in aula a beneficio delle telecamere. Senza contare che, volenti o nolenti, il tema del giorno è un altro: i dati negativi sull'economia, i moniti di Mario Draghi dalla Bce, i nuovi brontolii della minoranza Pd che - se ne è fatto portavoce lo stesso Bersani - mette in guardia il premier: il «patto del Nazareno» con Berlusconi non va esteso alle riforme economiche. Renzi ha preferito andare in tv ieri sera, ospite di Alessandra Sardoni e Salvo Sottile a In Onda , ad affrontarlo. «Con buona pace dei gufi e degli sciacalli, l'Italia non è un paese finito», ha assicurato. Dicendosi «totalmente d'accordo con Draghi, che dice una cosa sacrosanta: bisogna rimettere in ordine l'Italia, e le riforme sono fondamentali. Ma tutta l'Europa rifletta. La produzione industriale della Germania è cresciuta un terzo della nostra». I dati del Pil «non sono positivi» e sono «al di sotto delle previsioni», anche se rispetto agli anni passati si son fatti «passi avanti», visto che l'Italia «non è mai uscita dalla recessione». Ma il premier rivendica con forza la scelta degli 80 euro attaccando i critici: «Chi sostiene che non hanno inciso sul primo semestre abbia un po' di onestà intellettuale: nelle tasche degli italiani sono arrivati tra fine maggio e inizio giugno. Serve un minimo di rispetto per la realtà».

L'unico tweet della giornata lo ha dedicato ad un altro risultato incassato ieri, col voto di fiducia della Camera sul decreto Pa: «Il decreto di Marianna Madia è legge. Adesso sotto con la delega e i decreti attuativi». Niente trionfalismi, il momento impone sobrietà. L'unico brivido della giornata a Palazzo Madama, a parte i tiri di palline e l'occupazione grillina dei banchi del governo nelle pause dell'Aula, lo ha procurato il solito Roberto Calderoli, che a metà giornata ha tirato fuori un emendamento per fissare l'entrata in vigore della riforma solo alla «conclusione naturale della legislatura». Emendamento malizioso, volto ad impedire un eventuale scioglimento anticipato delle Camere appena approvata la riforma, e chiaramente assai appetibile per tutti gli attuali membri del morituro Senato elettivo. Bocciato dal presidente Grasso, poi riformulato da Calderoli con la data del 18 novembre 2016, ossia la conclusione dei famosi «Mille giorni» di Renzi. Poi, su pressione della maggioranza, tramutato da Calderoli in semplice odg per evitare una votazione che avrebbe potuto diventare lo sfogatoio dei malpancisti, Pd inclusi. Per il resto ieri è stato soppresso il Cnel e introdotto il tetto ai compensi dei consiglieri regionali (equiparato a quello dei sindaci del capoluogo), la abolizione dei fondi pubblici ai gruppi politici presenti nelle Regioni (quelli del caso Fiorito, per intenderci).

Oggi l'ultimo voto, poi, in autunno, la pratica passa alla Camera.

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