«La Rai non è una municipalizzata di provincia, la prima industria culturale italiana non può sottostare a procedure cavillose chilometriche o avere l'incubo della Corte dei Conti, senza peraltro che questo l'abbia salvata da vicende poco chiare e scandali». Questo il succo del documento approvato ieri dal Consiglio dei ministri nel quale il premier Renzi derubrica la legge Gasparri, tuttora in vigore, a una sorta di manuale Cencelli del poltronificio di Viale Mazzini. Ma dietro queste schermaglie c'è una volontà ben precisa: assicurarsi il dominio sulla tv di Stato. L'estensore della norma, ex ministro e senatore azzurro Maurizio Gasparri, non incassa senza reagire. «Non so se Renzi sia più un somaro o un gambero o tutti e due considerato che del suo tanto strombazzato progetto di riforma resta solo una modifica del comma 8 dell'articolo 49» del testo che porta il suo nome. E, in effetti, Gasparri ha buone ragioni per sostenere la sua tesi. Non si procederà per decreto, come strombazzato, ma con un disegno di legge che il Parlamento dovrà approvare entro luglio, altrimenti il rinnovo degli organi avverrà con la normativa vigente.
La procedura di nomina del consiglio di amministrazione, ridotto da 9 a 7 componenti, resta sostanzialmente invariata: due componenti dalla Camera, due dal Senato e due dall'esecutivo. Renzi ha dovuto rinunciare al progetto di coinvolgere le Camere in seduta congiunta, circostanza non prevista dalla Costituzione per la Rai. Le competenze della commissione di Vigilanza resteranno inalterate. Si vede che, probabilmente grazie al Quirinale, qualcuno avrà fatto presente al capo del governo che le sentenze della Consulta in materia vanno rispettate. Tant'è vero che il potente sindacato interno, l'Usigrai a trazione Cgil, s'è subito lamentato del complessivo mantenimento dello status quo.
Le due novità introdotte, però, sono importanti. La prima è simbolica e prevede la designazione di un consigliere da parte dell'assemblea dei dipendenti Rai (sul modello tedesco). La seconda è politica e riguarda la designazione da parte del cda di un amministratore delegato che avrà pieni poteri di nomina dei dirigenti e di approvazione delle spese fino a 10 milioni di euro (cioè il grosso del budget), oltre quel limite ci si rimette alla collegialità del cda. E siccome l'ad «esterno» è proposto dal cda, ma votato dall'assemblea (il Tesoro ha il 99%), ci vuol poco a capire che Renzi punta al colpo grosso. Non a caso ieri ha esordito affermando: «La Rai che noi immaginiamo non è la Rai nella quale il governo abbia desiderio di mettere le mani per impadronirsene». Excusatio non petita accusatio manifesta , dicevano gli antichi giuristi romani.
Il documento curato dal «fedelissimo» sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, prevede inoltre il completamento della riforma delle testate giornalistiche (il progetto dell'attuale dg Gubitosi di unificazione dei Tg) e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare della Rai, «anche con una ridefinizione della presenza delle sedi territoriali». Insomma, la modalità della cura dimagrante sarà organizzata da Palazzo Chigi. Altro che libero gioco del Parlamento che, però, potrà mettere i bastoni tra le ruote del premier nel corso dell'iter che al Senato, per mere questioni di numeri, già si annuncia infuocato.
È ancora presto per stabilire se Renzi effettivamente diverrà il dominus di Viale Mazzini. In un anno non ha toccato niente: è stata l'azienda ad adeguarsi «spontaneamente» ai desiderata governativi. Ma se il colpaccio gli riuscirà, avrà aggiunto un altro trofeo alla sua personale bacheca. Non gli bastasse la presa del Pd e da lì di Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni, c'è l'interim delle Infrastrutture (la settimana prossima nominerà il nuovo cda di Anas).
Ha scardinato il sistema bancario con la riforma delle Popolari e sta ingaggiando una battaglia con Telecom per coinvolgerla nel piano statale di investimenti sulla fibra ottica. Avere la Rai in total control renderebbe ancor più forte mediaticamente la sua presenza scenica. Se al suo posto ci fosse stato Berlusconi, qualcuno sarebbe già sceso in piazza.
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