Roma La lotta al terrorismo? Per Matteo Renzi si fa rimanendo «social, umani», nel concreto anche «taggando i potenziali soggetti pericolosi», utilizzando «cyber security e cyber technology». Il premier usa un linguaggio da nerd, gioca al nativo digitale, forse ambisce al ruolo di hacker informatico.D'accordo, parla al primo Italian digital day nella reggia di Venaria, rivolto ad una platea di campioni del web. D'accordo, da tempo usa più i tweet dei discorsi ufficiali per far conoscere le sue mosse politiche e i suoi pensieri personali. Ma questo esprimersi per slogan informatici, questa leggerezza della frase ad effetto suonano inadeguati se messi a confronto con solennità e concretezza dei messaggi inviati alle popolazioni sotto shock da presidenti come il francese François Hollande o l'americano Barack Obama in un momento di massimo allarme internazionale per gli attentati a Bamako, a Parigi, all'aereo russo sul Sinai.
Mentre a Bruxelles si arriva al coprifuoco e ovunque si temono attacchi chimici, in tutt'Europa si seguono i blitz nei covi dei kamikaze e la caccia all'uomo per almeno uno dei fanatici che ha fatto strage nella capitale francese, mentre più lontano si scaricano bombe sulla regione della Siria in mano al Califfato e si allarga l'alleanza internazionale contro i fanatici del Jihad, ci si aspetterebbe dal capo del governo italiano qualcosa di peso per stimolare il senso di una nazione unita nella lotta al terrorismo.Invece no, Matteo continua a usare i suoi tweet mentali nell'intervento sui sistemi di sicurezza per prevenire futuri rischi. Hollande si prepara a riscrivere la Costituzione e annuncia di chiudere i confini per non agevolare gli spostamenti degli estremisti, ma il premier liquida con una battuta l'ipotesi di rivedere gli accordi di Shengen. «A quelli che dicono blocchiamo le frontiere, dico: dove le blocchi? Le blocchi perché sta arrivando qualcuno su un barcone, o blocchi le nostre periferie da cui partono gli attacchi killer?». Per Renzi, meglio «taggare» i sospetti fanatici, seguire le tracce che lasciano camminando, perché questo non è certo «un agguato alla privacy». Il premier è convinto che servano più controlli, ma di un certo tipo. «Avere un sistema di informatica maggiore, di maggiore digitalizzazione delle immagini, per riuscire a fare il riconoscimento facciale, sono per avere in comune tutte le banche dati, per far sì che ogni telecamera sia a disposizione della forza pubblica, per poter dire che posso riconoscere una persona».
Aggiunge che «dobbiamo essere capaci di utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione, per dare una risposta e contemporaneamente mantenersi social, umani, in grado di esprimere i nostri valori più profondi». La macchina, il computer, ma insieme il «fattore umano». E qui, un po', Renzi si contraddice: «Il mondo dei prossimi venti anni avrà molto bisogno di noi, non solo dei digital champion, dei parlamentari, dei ceo delle azienda, dei sindaci, dei presidenti di Regione. C'è bisogno di essere noi stessi fino in fondo». Perché «il terrorista è colui il quale ti uccide, e se non ti uccide prova a farti vivere nel terrore, cioè vivere come piace a lui». Quelli di questi giorni sono attacchi «a ciò che noi siamo, alla nostra identità: vanno negli stadi, nei ristoranti, nei teatri, nei luoghi della normalità».L'incoraggiamento è piuttosto vago.
«Da qui ai prossimi due anni ci giochiamo una grande sfida, quella di riportare l'Italia a fare l'Italia». Non per usare il «training autogeno», assicura, ma «siamo un grande Paese, che ha tutto per essere leader nel mondo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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