Matteo Renzi va alla guerra. Politicamente parlando, s'intende. Nella sua ultima "enews" (e sul blog) il segretario Pd annuncia le sue prossime mosse. E fa sapere che per un po' se ne andrà in America. "Mentre gli organismi statutari" del Pd "decidono le regole del Congresso, io sono in partenza per qualche giorno per gli Stati Uniti". Preannuncia aggiornamenti costanti : "Vi racconterò sul blog il mio diario di bordo dalla California dove incontreremo alcune realtà molto interessanti. Soprattutto nel campo del fotovoltaico, un settore dove si incrociano innovazione, sviluppo e ambiente. Priorità: imparare da chi è più bravo come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia, nel mondo del digitale, nel mondo dell’innovazione". Con una vena polemica Renzi poi osserva: "Perché se è vero - ed è vero - che dopo il 4 dicembre l’Italia sembra aver rimesso indietro le lancette della politica (proporzionale, scissioni in tutti i partiti, polemiche, palude: prima o poi qualcuno rifletterà sulle conseguenze politiche del voto referendario, non solo su quelle personali che sono decisamente meno importanti), è anche vero che il mondo, là fuori, corre e corre a un ritmo impressionante". In altre parole sembra voler dire: basta chiacchiere, concentriamoci sui fatti. "Continuo a pensare - aggiunge l’ex premier - che l’Italia abbia tutto per farcela e che ciò che ci serve sia soprattutto l’energia di rischiare e la volontà di sfidare il cambiamento senza vivere di rendita. Non rassegnamoci amici, non rassegnamoci alla palude".
Dicevamo che Renzi va alla guerra. Ma in che modo? Lo spiega lui stesso: "Nei prossimi giorni, con calma e minore intensità rispetto al passato, tornerò anche a partecipare a trasmissioni televisive. Riprenderemo i dialoghi su Facebook, inaugurando un modello diverso - spiega - Dopo aver più volte lanciato il 'MatteoRisponde', daremo spazio dalla prossima settimana a qualche 'MatteoDomanda', mettendoci in ascolto delle idee e delle proposte di chi vorrà farsi sentire. Ascolto, partecipazione, coinvolgimento: queste le parole chiave del lavoro che faremo durante la campagna congressuale".
Non manca una sferzata ai colleghi di partito: "Dal primo giorno della vittoria alle primarie del 2013 alcuni amici e compagni di strada hanno espresso dubbi, riserve, critiche sulla gestione del partito e soprattutto alla gestione del governo. Penso che sia legittimo e doveroso in un partito democratico, di nome e di fatto, che chi ha idee diverse possa presentarle in un confronto interno, civile e pacato. Vinca il migliore e poi chi vince ha il diritto di essere aiutato anche dagli altri: si chiama democrazia interna. L'alternativa è il modello partito-azienda. E sia detto con il massimo rispetto: a me non convince. Certo, è più facile essere guidati da un capo che decide da solo. Ieri un signore di Genova e uno di Milano - senza alcuna carica istituzionale - sono arrivati a Roma insieme e hanno spiegato ai rappresentanti di quella città che cosa fare e che cosa non fare nel governo del Campidoglio. Dall'altra parte accade che da vent'anni in una villa in Brianza si prendono le decisioni che riguardano la destra in Italia, senza la fatica di fare congressi o discussioni vere. Ormai - prosegue il segretario Pd - si è affermato il modello del partito azienda e capisco di conseguenza che noi democratici sembriamo quelli strani. Un'azienda è più semplice da gestire rispetto a un partito. Ma credo sia giusto difendere i principi della democrazia interna, l'idea di far parte di una comunità di persone che decide sulla base di regole condivise. Che sono sempre quelle, non cambiano sulla base delle esigenze".
E ancora: "Per questo motivo il nostro dibattito deve essere autentico. Il Pd ha la sua forza nella partecipazione, sia nei circoli che alle primarie. Personalmente ho giurato a me stesso che non sarò mai il leader di qualche caminetto, messo lì da un accordo tra correnti: si vince prendendo i voti, non mettendo i veti. Per settimane intere gli amici della minoranza mi hanno chiesto di anticipare il congresso, con petizioni online e raccolte firme, arrivando persino al punto di minacciare "le carte bollate". Quando finalmente abbiamo accolto questa proposta, ci è stata fatta una richiesta inaccettabile: si sarebbe evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi. Penso che la minoranza abbia il diritto di sconfiggermi, non di eliminarmi. E se è vero che la parola scissione è una delle più brutte del vocabolario politico, ancora più brutta è la parola ricatto".
"Abbiamo indetto il congresso - prosegue Renzi - secondo le regole dello statuto. Si terrà nei tempi previsti dallo statuto. Chi ha idee si candidi. E vinca il migliore. Se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità, questa scelta ci addolora, ma la nostra parola d'ordine rimane quella: venite, non andatevene. Tuttavia è bene essere chiari: non possiamo bloccare ancora la discussione del partito e soprattutto del Paese. È tempo di rimettersi in cammino. Tutti insieme, spero, ma in cammino. Non immobili. Il destino del Pd e del Paese è più importante del destino dei singoli leader".
Ma il viaggio in America come viene preso dai colleghi del Pd? Il primo a manifestare un certo fastidio è Francesco Boccia, presidente
Commissione bilancio alla Camera: "Renzi non sarà in direzione e partirà per la California? Ha perso un'altra occasione di confronto, mi auguro che negli Usa dirà alle multinazionali del web di pagare le tasse in Europa".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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