Renziani in trincea per cercare di evitare il fallimento di Alitalia

Gentiloni: "Non ci sono le condizioni per nazionalizzare". Siamo nelle mani di Orfini

Renziani in trincea  per cercare di evitare  il fallimento di Alitalia

Matteo Renzi è troppo impegnato nella campagna elettorale per le primarie del Pd per permettersi di potersi attrarre antipatie e perdere consensi con una matassa complessa da dipanare come quella di Alitalia. Tra l'altro, gli avversari politici gli stanno rinfacciando l'eccessivo entusiasmo di due anni fa ai tempi dell'ingresso di Etihad. Finora ha fatto filtrare solo una dichiarazione «ufficiosa» secondo la quale «la questione non può essere affrontata con un approccio ideologico ultraliberale», ove per «ultraliberale» si intende la linea del ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda.

L'aggettivo con cui la sinistra storicamente definisce i propri nemici è oggi utilizzato per apostrofare un ministro che sta trattando con Bruxelles un prestito ponte di 3-400 milioni erogato tramite Invitalia per consentire ad Alitalia di sopravvivere per 6 mesi consentendo ai futuri commissari straordinari di procedere alla valorizzazione degli asset. Se il governo Gentiloni avesse avuto un'impronta liberista, Alitalia avrebbe già ridotto la propria operatività giacché la cassa difficilmente le consentirebbe di superare la metà di maggio.

Eppure il tempo è la causa principale dell'irritazione renziana. La legge Marzano, infatti, prevede un incarico di tre mesi rinnovabili successivamente per un periodo analogo. A ottobre-novembre, quando la vicenda Alitalia dovrebbe giungere all'epilogo, si sarà in piena campagna elettorale per le politiche e Renzi non vuole che si scarichi sul suo Pd la perdita di oltre 20mila posti di lavoro tra compagnia aerea e indotto.

Il compito di formulare un'ipotesi alternativa è stato affidato al reggente del Partito democratico, Matteo Orfini che sul suo blog ieri ha scritto: «Si può immaginare un nuovo assetto e un nuovo piano che coinvolga almeno in parte i campioni pubblici nazionali?». Un riferimento nemmeno troppo velato al caso Ilva: senza le garanzie pubbliche l'azienda siderurgica avrebbe già chiuso i battenti. «Di tutto questo il Pd ha il dovere di discutere prima di rassegnarsi a un esito che, oltre a produrre una grande sofferenza sociale, produrrebbe un oggettivo indebolimento del Paese», ha concluso Orfini criticando nuovamente la stagione delle privatizzazioni.

La strategia, quindi, è chiara: una volta ritornato in sella al partito, Renzi cercherà di coinvolgere Cdp, Ferrovie dello Stato, Poste ed Eni (i «campioni nazionali») in un tentativo di salvataggio che, per lo meno, affianchi l'eventuale acquirente privato riducendo l'impatto previsto dalla procedura concorsuale. Un copione già visto ma che non ha mai trovato piena realizzazione, soprattutto nel caso del dossier Monte dei Paschi e in quello del coinvolgimento di Poste sul dossier Pioneer. Quando tornerà al Nazareno, dunque, l'ex premier darà ancor più filo da torcere ai ministri dell'EconomiaPadoan e dello Sviluppo Calenda che sono accusati di non essere riusciti a evitare quest'esito infausto.

Acquisiscono così un peso diverso le parole pronunciate ieri dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. «Sulla questione Alitalia bisogna dire la verità: non ci sono le condizioni per una nazionalizzazione», ha dichiarato aggiungendo che «il governo si sente impegnato a difendere lavoratori, utenti, contribuenti e cittadini per non disperdere risorse della compagnia».

Non a caso ieri in serata il premier ha riunito a Palazzo Chigi i ministri Poletti, Delrio e Calenda.

«Sono piuttosto contrario all'ipotesi di dividerla a pezzi» ha dichiarato Delrio precisando che la compagnia ha « la potenzialità per essere venduta insieme e per trovare un nuovo progetto industriale». All'appello di Renzi c'è già un sì.

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