Contrordine: niente voto in due giorni, né per le Amministrative di giugno né per il referendum di ottobre. I seggi saranno aperti solo domenica. Ad annunciarlo, al termine del Consiglio dei ministri, è stato lo stesso ministro che lo aveva proposto qualche giorno fa, Angelino Alfano: «Di fronte a tante polemiche pretestuose e strumentali - sia riguardo i costi sia riguardo a chissà quali strategie occulte che sarebbero state alla base di questa mia iniziativa - valuto opportuno lasciare le cose così come stanno».
Il titolare del Viminale ci tiene a sottolineare che l'idea di tenere aperte le urne anche di lunedì non era venuta al governo, ma era stata sollecitata da più parti, a cominciare «dai partiti di opposizione che poi ne hanno approfittato per attaccare il governo». Anche i Comuni, attraverso l'Anci, avevano caldeggiato l'ipotesi, allarmati dal rischio astensione a causa del lungo ponte del 2 giugno, e secondo voci di Transatlantico persino il Quirinale sarebbe stato favorevole. Quanto al premier, l'idea di avere un giorno in più per portare al voto i supporter della sua riforma costituzionale non gli sarebbe dispiaciuta per nulla. Ma davanti all'alzata di scudi dei giorni scorsi, alle accuse di avere «paura per il referendum», alle polemiche sui costi dell'allungamento, a critiche dure come quella del suo predecessore Enrico Letta, che ieri si chiedeva «il senso di questo cambiamento: costa molto, e dovunque in Europa si vota in un giorno solo», Renzi ha tagliato corto: «Se questa ipotesi, chiesta da altri e non certo da noi, diventa solo un ennesimo pretesto per attaccare il governo sapete che c'è? Non si fa, e basta. Lasciamo tutto come sta», ha annunciato ieri ai suoi. Lasciando poi al ministro degli Interni l'onore e l'onere di spiegarlo. Del resto, l'accusa di usare due pesi e due misure, visto che per il referendum sulle trivelle i seggi sono stati aperti solo domenica, rischiava di diventare difficile da sostenere.
Il premier è comunque già in piena campagna elettorale per l'appuntamento di ottobre, e cerca di scrollarsi di dosso l'accusa di volerlo «personalizzare», mettendo sul piatto il proprio addio alla politica. «Personalizzare lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no - scrive nella sua ultima e-news - che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po' a disagio». E Renzi mette in tavola tutti quegli elementi «di merito» della riforma su cui, è la sua convinzione, sono i veri punti di forza della campagna per il sì: «Se vince il sì - scrive - diminuiscono le poltrone; se vince il no restiamo con il Parlamento più numeroso e costoso dell'Occidente. Se vince il sì, per le leggi e la fiducia sarà sufficiente il voto della Camera; se vince il no continueremo con il ping pong. Se vince il sì avremo un governo ogni cinque anni; se vince il no continueremo con la media di un governo ogni 13 mesi». I comitati per il sì saranno inaugurati ufficialmente dal premier sabato, in un lungo tour dell'Italia che partirà da Bergamo.
Intanto nel Pd cova una nuova polemica: la minoranza reclama l'approvazione celere della leggina - da loro chiesta - che dovrebbe garantire l'elezione diretta dei futuri senatori: «C'è tutto il tempo entro la legislatura», dice il senatore bersaniano Fornaro.
Ma i renziani rinviano «al prossimo Parlamento», spiega il sottosegretario Bressa. La minoranza usa il pretesto per prendere le distanze dalla campagna referendaria, e Vannino Chiti avverte: «È la condizione per il nostro impegno nel referendum».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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