Riappaiono carte e nastri di Borsellino. Accuse di insabbiamento, trema Pignatone

Ora in Vaticano, era a Palermo quando l'indagine fu fermata

Riappaiono carte e nastri di Borsellino. Accuse di insabbiamento, trema Pignatone
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Nastri che dovevano a tutti i costi essere distrutti, e che invece risaltano fuori a 33 anni di distanza: consentendo forse di riscrivere una delle pagine più tragiche della lotta alla mafia, la strage di via d'Amelio il 19 luglio 1992. Nella indagine bis sull'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta la svolta potrebbe essere costituita dal ritrovamento delle registrazioni e dei brogliacci della cosiddetta inchiesta "Mafia e appalti", l'indagine che Borsellino voleva portare avanti, e che gli venne tolta e archiviata dai suoi capi. Primo tra tutti, il procuratore di Palermo Pietro Giammanco, con i suoi pm Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte. Intercettazioni inutili, dicevano. Ma ora il Gico della Guardia di finanza le sta riascoltando una per una. Giammanco è morto cinque anni fa, vivi e sotto inchiesta sono invece Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli, che lavoravano con lui, non firmarono l'archiviazione ma sono comunque accusati dell'insabbiamento. Dal riascolto dei nastri si capirà se davvero, come ritiene la Procura di Caltanissetta, i due magistrati decisero di "occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche" al fine di aiutare Cosa Nostra, in particolare la famiglia Buscemi di Passo di Rigano. Da una società dei Buscemi, la Raffaello, in quegli anni Pignatone comprò due appartamenti. Una società in affari con i Buscemi, la Sirap, era guidata dal padre di Pignatone.

Natoli nei decenni ha fatto carriera, è diventato uomo di punta dell'associazione nazionale magistrati, è stato eletto al Csm per il "Movimento per la giustizia". Pignatone ne ha fatta ancora di più, fino a diventare procuratore della Repubblica a Roma e poi presidente del tribunale Vaticano. L'inchiesta contro di loro va avanti sotto traccia da oltre un anno. Ogni tanto, per caso, affiorano dettagli eloquenti del livello su cui stanno scavando i pm di Caltanissetta: tre mesi fa si è scoperto che intercettavano persino l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, alla ricerca di informazioni sui documenti di Borsellino (tra cui la famosa agenda rossa) spariti dopo la strage. Se viene messo sotto controllo anche un potente di lungo corso come De Gennaro, significa che per la Procura nissena non c'è niente di intoccabile.

Venerdì scorso Natoli - che finora si era avvalso della facoltà di non rispondere - è stato interrogato per dodici ore; nei prossimi giorni dovrebbe toccare a Pignatone. Sulla loro testa pesa l'accusa di avere finto di non vedere le tracce eloquenti che stavano nel dossier - arrivato a Palermo da Massa - sui rapporti tra Cosa Nostra e le grandi aziende del nord, come la Rizzani de Eccher di Udine e soprattutto il gruppo Ferruzzi, quello di Raul Gardini. Era lì,sostiene da sempre la famiglia di Borsellino, che c'erano gli elementi concreti per recidere la saldatura tra il potere mafioso e il potere economico. L'estromissione di Paolo Borsellino dall'inchiesta e poi la sua condanna a morte, in questa ricostruzione, impedirono che l'asse tra mafia e appalti venisse colpito.

Ci volle un altro anno perché da Milano il pm Antonio Di Pietro riprendesse il bandolo: il suicidio di Gardini stoppò l'inchiesta una seconda volta. Ora forse è la volta buona per capire se Borsellino aveva visto giusto, e se fu questo a costargli la vita.

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