Le menti della minoranza Pd, che restano fervide nonostante il solleone, ne hanno partorita un'altra: il rimpasto e il Renzi bis, con tre ministeri per loro.
Scontato l'obiettivo: non dar tregua al premier, portargli in casa la guerriglia permanente - da bravi Vietcong - indebolirlo, metterlo sotto tutela, per dirla con le loro parole «logorarlo». Non che le loro trappole, sui molteplici fronti che aprono, funzionino sempre: basti vedere come è andata a finire l'operazione Ferruccio De Bortoli, che da candidato per il Cda Rai non ha avuto neppure tutti e tre i voti dei membri della Vigilanza Rai appartenenti alla fronda Pd. Ma loro sono convinti che la battaglia sulla riforma del Senato costringerà Renzi a «trattare con noi», perché «non ha i numeri a Palazzo Madama» e «dovrà per forza chiederci un accordo politico se non vuole che vada tutto a carte quarantotto», spiegano.
Sulla riforma del Senato lo scontro è duro. E ieri la presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Anna Finocchiaro, ha mandato un chiaro messaggio non solo alla minoranza Pd, ma anche al presidente Grasso, sospettato di giocare di sponda con la fronda per riaprire la questione della eleggibilità dei senatori, rimettendo in discussione l'articolo 2 della riforma che la esclude. «La scelta di superare il bicameralismo paritario è irreversibile», dice Finocchiaro, e lo stesso vale per la non elettività: rimetterla in discussione «finisce col mettere in discussione tutto il disegno riformatore, assumendosi la responsabilità di riavviare l'intero procedimento e così ponendo nel nulla il lavoro fin qui compiuto». Uno stop secco, che ha scatenato le opposizioni e la minoranza Pd, che dell'elettività vuol fare il grimaldello per scardinare la riforma: «Risposta deludente e negativa», dice Chiti. Con Roberto Calderoli che annuncia «una bomba atomica da 510mila emendamenti».
Lo scontro è rinviato a settembre. Intanto ad aprire il fronte rimpasto è stato Miguel Gotor, bersaniano di ferro ed eminenza grigia della campagna elettorale 2013 dell'ex segretario Pd. Ospite ieri mattina ad Omnibus su La7 , il senatore ha assicurato di «non vedere né auspicare alternative a Renzi», al momento, ma «c'è un governo che in alcune figure è troppo più debole rispetto a Renzi. Ci sono dei ministeri, come Sviluppo industriale, Istruzione e Ambiente, dove la maggioranza non sta mettendo in campo le migliori figure». Ecco l'idea: far licenziare Federica Guidi, Stefania Giannini e Gianluca Galletti e mettere al loro posto tre ministri indicati dalla sinistra del partito. Chi? «I nomi non importano», si schermiscono nella minoranza, «l'importante è che siano figure di rilievo e di provata capacità». Ma il messaggio è chiaro: la fronda anti-renziana si comporta da partito nel partito, fino al punto di rivendicare la necessità di una propria rappresentanza nel governo. «Ora c'è da governare», dice Bersani, «e io credo che le nostre ricette siano utili». Altrimenti, è la velata minaccia, «se non viene interpretato il disagio, un pezzo di partito» se ne può andare. Del resto lo afferma anche la lettian-bersaniana Paola De Micheli, cooptata da Renzi come sottosegretario all'Economia: «Il premier si deve fare carico di coinvolgere nel governo anche la minoranza».
«Certo, un rimpasto, gli italiani non vedono l'ora», ironizza Matteo Renzi.
Convinto che anche la guerriglia sul Senato «finirà come con l'Italicum, il Jobs Act, gli 80 euro, la Rai». E in verità questa linea non è condivisa da tutta la componente, e fa spazientire anche un antirenziano come Gianni Cuperlo: «Ma sono matti? Così mandano tutto a rotoli», si è sfogato con un collega.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.