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Richetti frena sul Jobs Act: "Solo slogan e discussioni"

Il deputato infastidito dalla scontro su articolo 18 e Tfr in busta paga: "Come si fa a fare una battaglia epocale col capogruppo che si astiene e il presidente della commissione che vota contro?"

Richetti frena sul Jobs Act: "Solo slogan e discussioni"

Il fronte non è compatto. Scricchiola. E a smuovere il renzismo non è certo la minoranza piddì, che smuova alla sinistra del partito, ma un fedelissimo del premier. Intervistato da Lucia Annunziata a In 1/2 Ora, Matteo Richetti, pur schierandosi con Matteo Renzi e con le sue riforme, rivendica di non essere uno yes man. A indispettire il deputato, che si è ritirato dalle primarie per le Regionali dell’Emilia Romagna dopo un’inchiesta sulle spese pazze, è il dibattito interno al Partito democratico sul Jobs Act, e in particolare sull'abolizione dell'articolo 18 e sul Tfr in busta paga. "Come si fa - chiede - a condurre una battaglia epocale come quella del lavoro con il capogruppo che si astiene e il presidente della commissione che vota contro?".

"Il rilancio del renzismo è necessario, lo deve fare Renzi, anzi lo possiamo fare insieme". Secondo Richetti, il "renzismo originario" prevederebbe "qualche comparsata in meno e qualche momento di studio e di approfondimento in più". Alle continue critiche dell'ala sinistra del partito uscita sconfitta dalle primarie siamo ormai abituati. Tutto diverso se il malessere serpeggia tra uno dei fedelissimi. "Quando si governa - fa notare - la dinamica della proposta non è 'sparo l’annuncio, ti faccio discutere per settimane', per poi scoprire che la proposta non è percorribile". A indispettirlo è la proposta di lasciare il Tfr in busta paga. "Quando si governa si lavora diversamente - incalza - si dice 'ho un’idea, la voglio approfondire, ne guardo le ricadute e ne accerto la percorribilità'. Poi vado in Parlamento e me la faccio approvare in una dinamica di confronto vero". "Ma come si fa - accusa - a condurre una battaglia epocale come quella del lavoro con il capogruppo che si astiene e il presidente della commissione che vota contro?". Richetti si riferisce all'astensione del capogruppo piddì alla Camera Roberto Speranza e al niet di Cesare Damiano in direzione nazionale alla relazione di Renzi sul Jobs Act.

Richetti non si riconosce nella definizione di pretoriano di Renzi. "Sull’articolo 18 non avrei voluto una discussione poco chiara e sul tfr una discussione a questo punto inutile - tuona - avrei invece voluto che, con un orizzonte di mille giorni davanti, si riscrivesse lo statuto dei lavoratori". Perché, nonostante i distinguo, Richetti è d’accordo che dopo 44 anni lo statuto del lavoro vada riscritto tutto. "È fuori discussione che oggi c’è una parte di lavoratori che sono intoccabili - continua - ma non sono solo quelli dell’articolo 18. Penso alla dicotomia tra lavoratore pubblico e lavoratore privato e poi ci sono i nuovi schiavi. Questi sono fuori da ogni statuto dei lavoratori". Il deputato piddì critica il modo in cui il partito sta affrontando la riforma del mercato del lavoro: "Non sono d’accordo con chi sostiene che le modifiche legate all’articolo 18 aprano scenari catastrofici, sostengo però che chi vuole portare in questo paese un cambiamento profondo e non solo in superfice, è chiamato a un lavoro progettuale molto più serio e più credibile".

Da parte del Pd e di Renzi, insomma, Richetti vorrebbe più un lavoro dietro le quinte e meno discussioni.

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