«Topo Gigio» Veltroni e «Valium» Prodi, come li chiamò delicatamente Beppe Grillo, all'opera dietro del quinte per il gran papocchio giallorosso, l'inciucio del Pd con il M5s? Possibile, anzi sicuro. I due intramontabili ex leader della sinistra italiana si stanno manifestando tramite interviste, editoriali, consigli anche non richiesti. Oppure sotto mentite spoglie, attraverso le parole di loro fedelissimi come lo è Goffredo Bettini per Walter Veltroni. L'ex coordinatore della segreteria di Veltroni, quando «Uòlter» guidava il Pd, ha lanciato un «lodo», un patto di legislatura con i Cinque stelle che metta d'accordo Renzi e Zingaretti e porti il Pd a governare, insieme a Di Maio, fino a scadenza naturale della legislatura nel 2023.
La vera posta in gioco per il Pd, più ancora della insperata possibilità di passare dall'opposizione al governo, è avere voce in capitolo nell'elezione del prossimo inquilino del Quirinale. La successione a Mattarella verrà decisa infatti nel 2022 (la scadenza naturale della legislatura è il 2023) e a condurre i giochi saranno i partiti di maggioranza. Appunto, quale maggioranza? Come Bettini, anche Romano Prodi suggerisce sia quella Pd-M5s. «Bisogna preparare le basi di una maggioranza costruita attorno a un progetto di lunga durata, sottoscritto in modo preciso da tutti i componenti della coalizione. Deve essere un accordo duraturo: non per un tempo limitato ma nella prospettiva dell'intera legislatura. Forse bisognerebbe battezzare questa necessaria coalizione Ursula» spiega Prodi, riferendosi alla maggioranza che ha eletto la nuova commissaria Ue Ursula von der Leyen, votata per l'appunto anche dai Cinque Stelle.
Un osservatore malizioso potrebbe pure pensare che un pensierino al Quirinale lo facciano gli stessi proponenti del patto democratico con Grillo e Casaleggio. Per entrambi, Prodi e Veltroni, la candidatura al Colle non sarebbe una novità. Quella del Professore venne troncata di netto dai famosi 101 franchi tiratori, quando era data ormai per certa e sostenuta anche dal Movimento Cinque Stelle. Ma pure Veltroni è stato in corsa la volta dopo, peccato che uscì l'inchiesta su Roma Capitale che tirò in mezzo anche suoi ex collaboratori stretti. Se l'operazione maggioranza giallorossa dovesse vedere la luce, e durare per altri tre anni, i due ex leader («due flaccidi imbroglioni» fu la terribile definizione che Pansa sull'Espresso attribuì a D'Alema, che poi smentì) sarebbero certo nomi spendibili.
Peraltro Veltroni, che già a maggio consigliava al M5s di «rompere la alleanza con la Lega che li ha spolpati», è anche uno dei nomi usciti nel toto-premier per il governo Pd-M5s. Che sia lui il «politico» a cui pensa Bettini quando dice che come premier dell'esecutivo Pd-M5s-Leu serve «indubbiamente una figura politica, di prestigio nazionale e internazionale, non un tecnico»? Ma lo stesso Veltroni nei giorni scorsi si è fatto avanti con una proposta su come evitare «il rischio Weimar». E il suo appello, sotto forma di lunga lettera a Repubblica, sembra proprio un invito al Pd ad allargarsi, anche verso i Cinque Stelle dietro a cui Veltroni vede generosamente «un desiderio radicale di mutamento delle cose». Quel che propone l'ex sindaco di Roma è dunque «un colpo di cervello e di cuore. Bisogna aprirsi, unirsi, accettare le diversità e farle convivere. Siano essere pezzi di società civile, di altre formazioni politiche del campo progressista. Ci vuole un fronte ampio di forze che si accordi su poche, chiare priorità programmatiche. E poi uniti».
Lo stesso identico tracciato del lodo Bettini e di
Prodi. Questo fronte allargato dal Pd al M5s e altre formazioni progressiste ricorda un po' il minestrone arcobaleno dell'Unione, maggioranza variegata che governò per due anni nel 2006. Guarda caso il premier era Prodi.
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