I numeri diffusi ieri lo dimostrano una volta di più: Madrid sta realizzando quel cambio di passo a Roma auspicato ma finora disatteso. Una crescita dello 0,6 per cento del Pil nel secondo trimestre, persino più di quanto lo stesso Banco de España aveva previsto. L'Italia, da aprile a giugno, ha perso due decimi (come la Germania, nel loro caso per la prima volta, mentre la Francia resta ferma da sei mesi).
Riavvolgiamo il nastro. A metà del 2011 il nostro Pil cresceva dello 0,4 per cento, quello spagnolo solo dello 0,1. Quell'anno la Spagna aveva un tasso di disoccupazione del 21 per cento: 4,9 milioni di persone cercavano un impiego e non lo trovavano. In Italia, stesso periodo, la disoccupazione era attorno all'8,4 per cento. Sintetizzando: stavamo messi male, ma meno peggio di loro. E certo anche oggi alcuni dei nostri numeri sono migliori dei loro: la disoccupazione spagnola del 2014 si attesta, per ora, al 24,5 per cento, la nostra a circa la metà, il 12,3.
Ma si capisce che il gap tra noi e i cugini iberici va assottigliandosi, sono gli andamenti nel tempo a segnare la vera differenza. Per la Spagna è il quarto trimestre consecutivo di crescita, tanto che il ministro dell'Economia Louis de Guindos ha rivisto al rialzo le stime di crescita annuali, annunciando che a fine anno il Pil iberico potrebbe toccare quota +1,5 per cento.
A spingere verso l'alto il bollettino iberico sono consumi interni e investimenti delle imprese, due voci che da noi stentano a ripartire. E che al di là dei Pirenei sono state trainate dalle ultime riforme, di maggiore impatto di quelle, singhiozzanti e spesso inefficaci, realizzate nello Stivale.
Su tutte quella del lavoro, che a fine luglio ha fatto segnare un risultato storico: per la prima volta dall'inizio della crisi, nel 2008, nel Paese guidato da Mariano Rajoy il numero dei disoccupati è diminuito, riducendosi di quasi sette punti percentuali (-6,59%) rispetto all'anno precedente. Il Paese ha ricominciato a creare lavoro, 192.400 nuovi posti solo nell'ultimo anno, al ritmo di 527 nuovi al giorno, rivela l'indagine sulla popolazione attiva resa nota dall'Ine, l'Istat iberico.
Che cosa hanno fatto in più dell'Italia? La riforma del mercato del lavoro entrata in vigore a febbraio del 2012, per esempio, ha equiparato le agenzie private per il lavoro ai centri per l'impiego pubblici: chi è senza occupazione può rivolgersi alle prime o ai secondi, in entrambi i casi gratuitamente. In Italia si parla da tempo di riforma dei 529 ex collocamenti, ai quali, secondo Eurostat, oggi si rivolge solo un terzo di chi cerca lavoro. E solo pochi fortunatissimi, il 3,1% ogni anno, viene assunto attraverso questo canale. Le nuove norme di Madrid toccano anche il pilastro chiave dei licenziamenti, facendo scattare la giusta causa quando l'impresa registra - o, persino, prevede - perdite. E riducendo il periodo di indennità per chi viene mandato via senza giusta causa. Obiettivo: accorciare la distanza tra gli assunti, stabili e tutelati, e i lavoratori precari. Per questo si privilegia il livello della contrattazione aziendale rispetto alla collettiva.
Nel 2012 l'Italia ha speso l'1,7% del suo Pil in politiche attive per il lavoro, la Spagna il 4,2%.
Oggi la disoccupazione giovanile (under 25) iberica è al 53,5%: due punti in meno in due anni. In Italia lo stesso dato ha toccato quota 41,6%: quattro punti in più rispetto al novembre del 2012. La lungimiranza, alla fine, paga.Twitter @giulianadevivo
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