Roma - È stata «una settimana un po' impegnativa», perché contro governo e Pd è in atto «un'offensiva mediatica nella quale, casualmente, esce ogni giorno il nome di un ministro o di un sottosegretario», un'offensiva dalla quale però «non dobbiamo lasciarci cambiare l'umore».
Il sabato di Matteo Renzi è tutto all'attacco, contro «un tentativo senza precedenti di cambiare la realtà», diffondendo «menzogne virali» (nel mirino ci sono soprattutto i grillini): prima il ritorno a Napoli, agli stati generali del turismo; poi il blitz alla riunione di Classe Dem, la scuola di formazione dei giovani Pd. All'inchiesta di Potenza e alle sue ripercussioni politiche (quelle giudiziarie restano per ora del tutto evanescenti) fa esplicito riferimento, rivolgendosi direttamente a magistratura e informazione, in giorni in cui quotidiani e tv diffondono senza rete intercettazioni. Un'alluvione destinata a durare, e il premier sembra consapevole che lo stillicidio proseguirà e che l'assedio attorno al governo è destinato a crescere: «Voglio vedere come vanno a finire le indagini. Ma vedrete che intanto si parlerà per mesi di vicende strane, di governo diviso, di ministri che baruffano».
Del resto un analista esperto come Paolo Mieli, in un dibattito tv col ministro Delrio ha avvertito il capo del governo: «Sarà un'estate di fuoco, con quintali di intercettazioni che verranno man mano diffuse: tutti i poteri che non vogliono che Renzi vinca nel referendum di ottobre si stanno muovendo». L'assedio sarebbe solo agli inizi, ma già sta facendo precipitare il clima interno al Pd, dove la minoranza intravede nel percorso a ostacoli dei prossimi mesi (referendum no triv, amministrative, bufere giudiziarie) la possibilità di assestare il colpo finale all'«usurpatore» della Ditta post-Pci.
Il premier è netto: «I magistrati hanno il nostro sostegno. Ma le sentenze si fanno nei tribunali, non sui giornali che pescano in un anno e mezzo di intercettazioni frasi a effetto». Del resto, dice ai giovani Pd, «se vi tenessero i telefoni sotto controllo per anni, chissà che uscirebbe fuori sui vostri professori o colleghi». La politica, sottolinea, non deve essere «subalterna» a nessuno, neppure alla magistratura, che «non si accusa né si segue: noi non mettiamo bocca nel potere giudiziario, sarebbe una clamorosa invasione di campo se loro pensassero di discutere il procedimento legislativo».
Il premier annuncia che domani nel tardo pomeriggio parlerà alla Camera. Un intervento che sarà, in un certo senso, l'apertura della campagna per il fatidico referendum di ottobre, perché questa settimana a Montecitorio si avvia la sesta e ultima lettura della riforma che elimina il bicameralismo, taglia il numero dei parlamentari e crea il Senato delle regioni. «E le opposizioni che fanno? - chiede retoricamente Renzi - chiedono a Mattarella che non si voti.
Arriva, dopo decenni di chiacchiere e di classi politiche incapaci, stiamo riuscendo a fare le riforme e loro cercano di impedire che si voti», per votare invece «una di quelle mozioni di sfiducia che presentano ogni quindici giorni». Come se «decidere» sulle riforme «fosse antidemocratico. Mentre è vero il contrario: dove la decisione si blocca, inizia l'anarchia».
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