"Rigopiano, io il solo condannato. Per i fiori sulla lapide di mio figlio"

Alessio Feniello, il padre di Stefano: "Quei 4.550 euro non li pagherò mai"

"Rigopiano, io il solo condannato. Per i fiori sulla lapide di mio figlio"

È un paradosso che lascia senza fiato. A quasi tre anni dalla strage di Rigopiano, l'unico condannato è Alessio Feniello, il papà di Stefano, una delle 29 vittime della valanga. «Mi hanno appioppato una multa di 4.550 euro per aver violato i sigilli».

Ovvero?

«Perché il 21 maggio dell'anno scorso ho accompagnato mia moglie a portare un fiore sul luogo in cui è stato trovato il corpo di Stefano. Capisce?».

No, non capisco.

«Il gip di Pescara ha appena archiviato la posizione dell'ex prefetto Francesco Provolo perché era in buona fede quando aveva detto che Stefano era vivo, che lo stavano tirando fuori e che la mattina seguente sarebbe arrivato all'ospedale di Pescara. Lui era in buona fede, io invece no».

Un attimo, torniamo al 17 gennaio 2017.

«Stefano compiva 28 anni. Cosi, per festeggiare, è salito all'hotel insieme alla fidanzata Francesca».

Il tempo era pessimo.

«E infatti il sindaco di Farindola aveva chiuso una scuola a 500 metri di altitudine, ma non l'hotel che era a quota 1.200 metri».

Il motivo?

«Quando l'ho chiesto, mi hanno risposto che quella era proprietà privata. Incredibile».

Poi?

«Ancora la sera del 17 la polizia provinciale scortava le auto lassù, in quella trappola. Non esisteva nemmeno una carta del rischio valanghe. La sera del 18 è venuto giù tutto».

Lei e sua moglie Maria avete continuato a sperare?

«Certo. Si scavava, si pregava, qualcuno si era salvato».

I soccorsi?

«Caos. Approssimazione. E risposte volgari, vergognose a chi chiedeva informazioni».

Volgari?

«Vuol sapere le parole esatte? Voi che state al caldo non ci rompete il c...».

Di male in peggio.

«No, il peggio è arrivato quando Provolo ha letto nell'aula magna dell'ospedale di Pescara la lista di 5 superstiti ancora sotto le macerie, ma sul punto di essere salvati».

C'era anche Stefano.

«Si metta nei panni miei e di mia moglie che adesso non è più quella di prima, va avanti a psicofarmaci, non può più condurre l'azienda che si occupa dell'amministrazione di condomini e per cui lavoro anch'io. Azienda che stiamo per chiudere con un ulteriore disastro economico».

Quanto è durato lo strazio?

«Quattro giorni. Nessuno ci diceva niente, una sofferenza spaventosa, inimmaginabile dopo quelle parole che ci avevano ridato le forze. Poi l'altro nostro figlio Andrea ha saputo la verità».

Francesca si è salvata.

«Ha raccontato che la' sotto sentiva il braccio di Stefano: Lo toccavo ma non si muoveva. Era buio. Chissà».

Lei ha subito denunciato i presunti responsabili della tragedia.

«Sono tanti e tutti insieme hanno ucciso mio figlio e le altre 28 vittime. Ma il gip ha appena archiviato 22 posizioni, compreso quell'errore sciagurato di Provolo, e deve ancora decidere se spedire a processo altre 25 persone. Intanto sono passati quasi tre anni e mi preparo per i processi civili, anche se non voglio soldi».

Lei è l'unico condannato?

«Esatto. Ho accompagnato mia moglie a portare un fiore: questa è la mia colpa».

I sigilli?

«Non c'erano. C'era un cancello aperto, i carabinieri ci hanno guidato».

Conclusione?

«Mia moglie è stata prosciolta, io condannato. La giustizia è uno schifo e io mi ritrovo cornuto e mazziato, come si dice a Silvi Marina, il mio paese».

Lei avrebbe dei precedenti penali.

«Il mio certificato penale è pulito».

Pagherà i 4.550 euro?

«Mai. Piuttosto...».

Piuttosto?

«Abbiamo fatto opposizione.

Vedremo, ma se dovessero confermare non darò un centesimo. Mi hanno spiegato che la pena può essere commutata in due o tre mesi di carcere. E allora preferisco andare in carcere, cosi la vergogna del nostro sistema giudiziario sarà evidente anche ai ciechi».

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