Il caso marò riemerge dall'oblio con l'apertura delle udienze alla Corte arbitrale de L'Aja, che dovrà decidere il destino di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Un ennesimo passo dell'odissea giudiziaria dei due fucilieri di Marina, che coincide con il forte scontro sul tema Ong. In questi giorni l'infinito caso dei due servitori dello Stato è stato evocato più volte sui social contrapponendolo a Carola Rackete, la capitana trasformata in eroina.
Il 15 febbraio 2012 i due marò prestavano servizio di protezione sulla petroliera italiana Enrica Lexie a 20,5 miglia dall'India. Gli indiani li accusano di avere ucciso due pescatori scambiati per pirati, che si erano avvicinati alla nave, ma i marò hanno sempre proclamato la loro innocenza. Dopo il carcere, gli arresti domiciliari e il confinamento all'ambasciata italiana di Delhi e l'ictus a Latorre, i due fucilieri del reggimento San Marco sono tornati in patria. Mai liberi del tutto con l'obbligo di firma e senza passaporto. Non possono neppure frequentarsi. Sette anni dopo si apre la fase dibattimentale presto la Corte arbitrale, richiesta dall'allora governo Renzi, che deve decidere se la giurisdizione del caso spetta all'Italia o all'India. Oggi alle 9 del mattino verrà trasmessa in streaming la prima udienza, che prevede la lettura di una dichiarazione introduttiva dei rappresentanti dei due paesi. Poi le udienze continueranno fino al 20 luglio, ma a porte chiuse. Non sapremo nulla dei documenti, le testimonianze e forse degli accordi fra India e Italia sul caso, che saranno presentati in aula. La Corte è composta dai due arbitri nazionali, l'italiano Francesco Francioni e l'indiano P. Chandrasekhara Rao, che ha sostituito il suo connazionale scomparso lo scorso novembre allungando ancora di più i tempi. Al loro fianco siedono il coreano Jin-Hyun Paik e il giamaicano Patrick Robinson. La Corte è presieduta dal russo Vladimir Golitsyn.
Dopo i 12 giorni di udienze i giudici avranno sei mesi di tempo per emettere la sentenza definitiva sulla giurisdizione. Ovvero se i marò devono tornare in India per venire processati oppure rimangono in Italia. A Roma pendono comunque sulle loro teste un procedimento militare e uno civile. L'Italia ha avviato la procedura arbitrale nel 2015 in base alla Convenzione dell' Onu sul diritto del mare. Poi è calato un silenzio tombale sulla vicenda. New Delhi e Roma hanno continuato a darsi battaglia a colpi di memorie, mai rese note per intero, fino ad arrivare, quattro anni dopo, alle udienze che cominciano oggi.
Anche il governo giallo verde non fa trapelare nulla, ma si confida in una soluzione indolore. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, il 15 giugno era presente al matrimonio di Latorre con Paola Moschetti. Alle nozze non ha potuto andare Girone su ordine del tribunale. Il braccio di ferro con le Ong ha riportato a galla il caso. Il 29 giugno Elena Donazzan, assessore all'Istruzione della Regione Veneto, ha postato le foto dei due marò contrapponendole a quella della capitana Carola ottenendo quasi 80mila condivisioni. «Da una parte due militari italiani che hanno difeso una nave dai pirati come era stato loro richiesto: da anni attendono l'esito di un ingiusto processo» ha scritto Donazzan.
«Dall'altra una giovane straniera viziata, che ha volontariamente violato le nostre leggi e speronato un'imbarcazione militare pur di favorire l'ingresso in Italia di alcuni clandestini - si legge nel post - per lei si sono mobilitati Parlamentari, organizzazioni, giornalisti, opinionisti».Altri si sono chiesti sui social «come mai quando si è trattato dei marò nessuno del Pd è andato in India per salire a bordo? Anzi.». E lanciato un'accusa pesante alla sinistra: «Odiavano i marò. Idolatrano Carola».
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