Standard & Poor's, per il momento, non ha intenzione di rivedere al ribasso il rating dell'Italia, quel «BBB-» che si trova un gradino sopra il livello «spazzatura». Secondo gli analisti dell'agenzia statunitense, «anche se i 20 miliardi del decreto salvarisparmio fossero totalmente utilizzati, il rapporto debito/Pil a fine 2017 salirebbe di 1,2 punti percentuali al 131,6% dal 130,4 stimato». Troppo presto, però, per tirare un sospiro di sollievo visto che al nostro Paese si potrebbe chiedere, in cambio, di aumentare le tasse per rendere i conti pubblici sostenibili.
La nota di S&P, infatti, si conclude con un ammonimento. «Crediamo che questa mossa potrebbe ridurre le passività potenziali dell'Italia trasformandole in debito pubblico», si legge nel testo. Cosa significa? Che per salvare le banche bisogna emettere titoli di Stato per finanziare quella spesa, cioè bisogna fare ancora più deficit.
Può l'Italia permetterselo? La risposta è no. In base al Fiscal Compact, infatti, il nostro Paese è chiamato a ridurre il proprio debito pubblico di 3,5 punti di Pil ogni anno, grosso modo una sessantina di miliardi di euro. Ovviamente, l'Italia non ha mai rispettato tali prescrizioni per una serie di circostanze contingenti (dalla flessibilità sulle riforme alle varie crisi congiunturali che si sono succedute), confidando, soprattutto con il governo Renzi, che la maggiore spesa si traducesse automaticamente in un rilancio della crescita economica che avrebbe minimizzato i sacrifici da compiere. Infatti, con una crescita del Pil vicina all'1,5% i sacrifici cui soggiacere annualmente si ridurrebbero a una decina di miliardi. Il problema è che la nostra crescita non arriva all'1% e nel 2016 e nel 2017 ci si è giocati per le varie mancette renziane oltre 30 miliardi di euro che non hanno prodotto nessun miglioramento stabile dell'occupazione né tantomeno una ripartenza dell'inflazione, visto che i consumi continuano a essere contenuti.
La nostra legge di Bilancio è tuttora sub iudice a Bruxelles, ma nel prossimo marzo è lecito pensare che si chiederà la solita mini-correzione dei conti, poiché aprire una procedura di deficit eccessivo nei confronto di una nazione che rischia il tracollo del sistema bancario sarebbe un atto di puro autolesionismo. Tuttavia, la resa dei conti con la Commissione Ue e con la Germania potrebbe essere solo rimandata, come dimostra l'inusitata severità nei confronti di Siena da parte della Vigilanza europea.
A quel punto, si potrebbe chiedere un rientro parziale dell'esposizione eccessiva e, ironia della sorte, quei 20 miliardi stanziati per Mps potrebbero tradursi in un'attivazione delle clausole di salvaguardia di importo più o meno simile su Iva e accise. Una manovra che determinerebbe un'immediata recessione e, nel peggiore dei casi, il ricorso al Fondo salva-Stati e alla Troika, cioè un assoggettamento totale alla Germania.