Non sono stati i venti mesi che forse si aspettava, qualche sorpresa c'è stata, ma il bilancio finale è «straordinario». Mario Draghi si prepara a lasciare Palazzo Chigi. Il suo tempo per ora è finito. La politica ora dovrà cercare di riprendersi il suo posto. Non c'è più l'uomo dell'emergenza al comando, quella maggioranza atipica e stramba si è sfarinata in un giorno d'estate e da allora si è andati avanti cercando di tenere in piedi i delicati fili che questo governo aveva messo in piedi. Cosa è stato Draghi in tutto questo tempo? Soprattutto uno scudo, una garanzia, l'assicurazione per un'Italia che si è ritrovata nelle tempesta carica di debito pubblico e con il timore di finire sotto i denti degli speculatori finanziari. Draghi, come personaggio, per dignitas e autorictas, è riuscito a tenere sulla linea di galleggiamento un Paese disorientato e impaurito. Si è ritrovato a dare una prospettiva all'orizzonte senza domani del governo Conte. Non è stato facile superare la pandemia, con scelte ai limiti della legittimità, con il «passaporto sanitario» che resta una ferita aperta. È stata la strada più veloce e non a costi bassi. L'obiettivo era ripartire, scommettendo su una sorta di nuovo rinascimento, con un piano europeo che guardava al futuro, alle nuove generazioni. Il Pnrr è il nome in codice di questa speranza. Sulla carta il piano c'è, le tappe sono state segnate, con le riforme chieste dall'Europa che passo dopo passo, dalla pubblica amministrazione alla giustizia, che sono diventate legge. In qualche caso ci si poteva aspettare qualcosa di più, ma lo sguardo strabico della maggioranza politica richiedeva equilibrio e confini stretti. Draghi ha tracciato un percorso e non ha nascosto che il lavoro più difficile sarà trasformare la carta in investimenti. La ripresa resta ancora una speranza. La realtà è che l'imponderabile c'è cascato addosso, con una guerra arrivata come una maledizione. La Russia che aggredisce l'Ucraina, squadernando gli equilibri mondiali e segnando la carne viva dell'Europa. La scelta atlantica di Draghi è stata netta e coraggiosa. È stato in quel momento anche un punto di riferimento in Europa. Solo che proprio sulle conseguenze del conflitto qualcosa è rimasto sul terreno. Draghi, bisogna ammetterlo, questa partita non è riuscito a vincerla. È forse questo il rammarico finale. La guerra, come tutte le guerre, ha un prezzo. L'Europa è stata bene o male compatta nelle sanzioni contro Mosca, ma l'inflazione e la crisi energetica sono i missili di una guerra non convenzionale. È la controffensiva di Putin e i danni colpiscono direttamente la popolazione civile.
Serviva una risposta compatta. Non c'è stata. Berlino e Parigi hanno scelto accordi bilaterali, sfuggendo da solidarietà e strategie comuni. Draghi si è ritrovato spiazzato, come un leader senza terra, a capo di un governo moribondo.
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