Più che un governo (cui non ha mai somigliato molto) quello grillo-leghista sembra un film comico dell'era del muto. Con Gigino Di Maio e Matteo Salvini, nei panni di Stanlio e Ollio, intenti a tirarsi le torte in faccia, e il giulivo premier Conte in mezzo a cercare di schivarle.
Sarebbe assai da ridere, se non ci andasse di mezzo un paese intero, con l'economia a rotoli e qualsiasi provvedimento bloccato dalle risse elettoralistiche dei due vicepremier in ansia da prestazione. L'elenco dei temi su cui si litiga senza costrutto è sterminato: Sblocca-cantieri, Dl crescita, Dl Sicurezza, Autonomia, Tav, Province, Dl Famiglia, flat tax e via enumerando. Tutto fermo, tutto paralizzato perché Gigino e Matteo devono rubarsi voti a vicenda. Così passano le giornate a farsi i dispetti via agenzie di stampa: «Il decreto sicurezza è pronto per il Consiglio dei ministri di lunedì», fa sapere la Lega. Di Maio pronto ribatte: «Non so, dipende dai tecnici che in queste ore stanno analizzando il decreto». Poi fa la linguaccia a Salvini: «Se si fa un decreto sicurezza bis è perché nel primo mancava qualcosa», tiè.
Il premier Conte capisce che deve far da spalla a Gigino e nega l'esistenza stessa di un Consiglio dei ministri lunedì: «Non so, non credo, dobbiamo valutare, non c'è niente di fissato». Misteriose «fonti pentastellate» fanno sapere che sul provvedimento ci sono «molte criticità» che dovranno essere «risolte da ulteriori tavoli», al plurale perché «saranno più di un tavolo». Mentre Conte va all'Ikea per provvedere alla fame di tavoli, Salvini si irrita: «Mi stupirebbe se qualcuno si opponesse a un decreto che si occupa di droga, camorra e delinquenza. Il testo è solido, ragionevole e necessario e dovrà essere approvato nel prossimo CdM». Se mai ci sarà.
Intanto parte la rappresaglia su un altro fronte: il «decreto Famiglia» (si tratta di un po' di soldi avanzati dal reddito di cittadinanza, che si sta rivelando un flop, da destinare in premio a chi figlia, un po' come durante il Ventennio) strombazzato da Di Maio viene «sabotato dalla Lega» nel preconsiglio dei Ministri, denunciano i Cinque Stelle. Che in cambio bloccano in Parlamento emendamenti dello stesso tenore presentati dalla Lega al decreto Crescita (anch'esso finito nella palude).
Il ministro del Carroccio Fontana spiega che quegli emendamenti sono assai più «ragionevoli e certi» del decreto Di Maio che «istituisce fondi con risorse eventuali senza dire come e quando saranno utilizzate, rimandando a tempi lunghissimi». Gigino si attacca alle tende, modello Paola Borboni, e geme: «Possiamo dividerci su tutto ma non sulla famiglia. Su questo decreto si gioca il destino e la tenuta del governo». Poi lancia segnali velenosi sulla flat tax salviniana: «Dopo undici mesi vorrei vedere qualcosa di scritto», rimprovera all'alleato. E torna ad agitare le manette contro un altro esponente leghista del governo: «Se il viceministro Rixi venisse condannato, deve andarsene». E mentre Salvini sfida il premier sul caso Sea Watch («Non pensi di darmi ordini sui porti») e Di Maio a stretto giro: «È evidente che c'è chi vuole alzare il livello dello scontro. Solidarietà a Conte. Di uomini soli al comando ne abbiamo già avuti e in Italia non ne sentiamo certo la mancanza». Salvini poi attacca i grillini («Lasciateci lavorare e smettetela con tutti questi no»), Di Maio replica con allusioni alle inchieste: «La prepotenza aumenta, soprattutto sul tema dell'immigrazione, quando la Lega è in difficoltà con gli scandali di corruzione. Questo tipo di arroganza ricorda Renzi quando gli chiedevano di far dimettere la Boschi».
Lo stesso Renzi replica sarcastico: «Quando il vostro governo otterrà i risultati che ha ottenuto il mio sarete liberi di utilizzare l'espressione sei come Renzi come un insulto. Nel frattempo, potreste governare non dico mille giorni, come abbiamo fatto noi, ma almeno un giorno».
Salvini prova a divincolarsi: «Non rispondo a Di Maio, o meglio rispondo con il lavoro: ho deciso di smetterla o sembriamo bambini dell'asilo. Non posso passare il tempo a rispondere a Grillo, Di Maio, Renzi, Berlusconi». Il capogruppo leghista Molinari sospira: «Così è complicato andare avanti». Per lui. Figurarsi per noi.
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