Rivincita "atlantista" nel Pd. Così l'area interna riformista può rovesciare gli equilibri

Per ottenere più voti, Schlein ha creato liste con candidati che non sono della sua corrente

Rivincita "atlantista" nel Pd. Così l'area interna riformista può rovesciare gli equilibri
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«Sostengo tutti i candidati Pd, e i nostri bravi amministratori». A chi le contesta un trattamento di riguardo per i nomi targati «Elly», la segretaria dem risponde che non ci sono figli (sinistrorsi) e figliastri (riformisti).

Del resto, spiegano i suoi, «Schlein ha fatto le liste non con l'obiettivo di avere un gruppo 'suo', ma di ottenere più voti per il Pd», anche perchè un successo in queste Europee (ossia un risultato che eguagli o superi il 22,7% delle scorse elezioni) è il primo requisito per blindare la propria leadership, e le aspirazioni a una futura candidatura a premier. Così, conti alla mano, il prossimo gruppo dem a Strasburgo avrà, probabilmente, una maggioranza diversa da quella del partito in Italia: i candidati più forti, che minacciano di surclassare gli «esterni» sponsorizzati dalla leader, sono appunto i «bravi amministratori» che non appartengono alla sua corrente. Secondo le stime più prudenti, che calcolano un numero minimo di eletti (tutto poi dipenderà dalla percentuale e soprattutto da quante liste concorrenti, da Renzi a Calenda ai rossoverdi, raggiungeranno il quorum), quelli di area riformista saranno 3 su 5 nel Nordovest (Gori e Tinagli più un terzo tra Toia, Fiano e Maran contro gli schleiniani Strada e Zan) al Nordovest; due su tre (Bonaccini e Moretti contro il solito Zan, doppiamente candidato per assicurare il subentro a uno schleiniano, o Corrado) nel Nordest; due su tre al Sud (Decaro e Picierno o Topo, mentre tutti danno per trombato lo schleinianissimo Ruotolo, e Lucia Annunziata sta sul filo), uno nelle Isole (Lupo). Al Centro la guerra tra Zingaretti e i candidati sostenuti da Franceschini (Nardella) e Mancini-Gualtieri (Ricci) penalizza il depresso ex direttore di Avvenire Tarquinio e la schleiniana Laureti, mentre incalza anche Alessia Morani.

Molti eletti saranno quindi di area riformista e -quel che più conta nel contesto Ue - saldamente ancorati all'atlantismo e avversi allo sgangherato «pacifismo» filo-Putin. Su cui invece punta tutto M5s: Conte, tra un flop cinematografico e una schitarrata a Un Giorno Da Pecora (dove ieri si è esibito in improbabili cover di Mina) sta tentando di arruolare tutte le anime perse ex comuniste o para-fasciste del Parlamento europeo, unite dall'afflato filo-russo, per costruire un gruppo autonomo. «Potremmo regalargli volentieri Tarquinio», ironizza un dirigente Pd. L'ex direttore di Avvenire è in grande affanno elettorale, anche se le sue suppliche hanno convinto Schlein a concedergli una manifestazione insieme in quel di Frosinone, più nascosta possibile. Da settimane Tarquinio tenta di attaccar briga con l'ala filo-Occidente del Pd, lanciando proposte da fantasy moscovita come lo «scioglimento della Nato», per cercare di ottenere un po' di visibilità. Ma la parola d'ordine degli avversari interni è «ignoratelo». Andrea Orlando prova a giustificarlo: «Aiuta a togliere l'elmetto al Pd».

I riformisti replicano: «E a sostituirlo con lo scolapasta». A suo sostegno resta un po' di mondo ultracattolico (anti-abortista come lui) e la vecchia guardia «sposettiana» del Pci, nostalgica dei bei tempi perduti dell'Urss.

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