Politica

Colle, spunta l'sms che ha sedato la "rivolta" da cortile dei peones

Nel cortile di Montecitorio, un drappello trasversale di grandi elettori era impegnato nel passatempo tipico di ogni peone nei giorni convulsi in cui si elegge il presidente della Repubblica: fare a pezzi il proprio leader. Poi...

La "rivolta" da cortile dei peones sedata con un sms dei loro capi

Ma chi l'ha detto che i grandi elettori sono un branco di ignoranti, fisiologicamente preda di impulsi politici irrazionali? Evidentemente deluso dalla gestione bicefala delle trattative quirinalizie che caratterizza il proprio partito, un grande elettore del Pd ieri ha stupito tutti citando nientemeno che le sagge parole del re di Sicilia Carlo d'Angiò. Era l'ora di pranzo, ma la tensione e il disorientamento generali non incoraggiavano al desco. Nel cortile di Montecitorio, un drappello trasversale di grandi elettori era impegnato nel passatempo tipico di ogni peone nei giorni convulsi in cui si elegge il presidente della Repubblica: fare a pezzi il proprio leader, ridicolizzandone la strategia. Uno dopo l'altro, ciascuno biasimava le scelte o le mancate scelte del proprio segretario politico o di questo o quell'uomo forte del proprio partito, mentre gli altri annuivano vistosamente. Poi, a turno, l'interlocutore veniva interrotto da un vicino di capannello, che gli rubava la scena con la consueta premessa: «Hai ragione, ma non sai cosa ha detto il mio...». E giù aneddoti e rivelazioni a rimarcare senza pietà alcuna né umana comprensione l'inadeguatezza dell'ufficiale in comando. Fiutata l'aria, e constatato che il comune sentire alludeva ad un male comune, il grande elettore democratico ha così inteso alzare il livello di una discussione ormai prossima allo sfogo isterico: «Cari amici, lo sapete cosa rispose Carlo d'Angiò al messo che, dandogli notizia della rivolta scoppiata in una città siciliana, gli disse che ad insorgere era stato un manipolo di pazzi?». Con una tempistica da consumato uomo di teatro, l'oratore ha lasciato che alcuni interminabili secondi fossero occupati dall'imbarazzato silenzio degli astanti e poi, con tono grave, ha loro offerto l'agognata risposta: «Ma i savi cosa facevano?"» La porta aperta fu così sfondata, le polveri infuocate. Uno ha citato Bismark («La politica è l'arte del possibile»), un altro ha citato Seneca («Per trovare la via a cose più grandi, il saggio farà anche quello che non approverà»), un terzo ha citato Balzac (ma l'ha citato in francese, perciò non ho capito nulla). Tutti noi peones abbiamo concordato sul fatto che in un parlamento di minoranze è demenziale accreditare la possibilità di una vittoria di parte, che leader timorosi e deboli non possono che generare soluzioni parziali e precarie, che se le persone di buonsenso come noi di tutti i partiti si coalizzassero avremmo già insediato il migliore tra i presidenti possibili.

Poi, uno dopo l'altro, ciascuno di noi ha ricevuto un sms di convocazione e, infilata la coda tra le gambe, ha salutato l'indomita combriccola per recarsi a pie' veloce dove era stato comandato.

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