L'esercito inviato dal governo di Aung San Suu-Kyi, la premio Nobel per la pace che guida la Birmania dopo aver subito vent'anni di esilio interno, ha reagito con estrema durezza alla rivolta islamista scoppiata venerdì scorso nella provincia nord-occidentale di Rakhine. Le milizie Rohingya avevano attaccato posti di polizia e una caserma dell'esercito con un migliaio di uomini armati di fucili automatici e machete, uccidendo 72 persone. Ieri le forze regolari sono passate al contrattacco e hanno usato anche i mortai per colpire i villaggi della minoranza musulmana, che conta circa un milione di persone sui 54 dell'intera Birmania a maggioranza buddista. Un giornalista della France Press ha raccontato di aver assistito all'uso di mitragliatrici contro la popolazione civile asserragliata nei pressi del posto di confine di Gumdhur con il Bangladesh, ma non è chiaro se ci siano state vittime.
La minoranza musulmana Rohingya non gode di alcun diritto fondamentale in Birmania, neppure di quello di cittadinanza. Decine di migliaia di loro sono fuggiti in questi anni nel vicino Bangladesh, che è un Paese islamico ma è anche notoriamente uno dei più poveri del mondo.
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