Cronache

Roma in fiamme, rogo doloso. La pista della filiera dei rifiuti

Centocelle, trovati gli inneschi. Demolitori nel mirino. Aperta un'inchiesta, tra le piste la ritorsione dei rom

Roma in fiamme, rogo doloso. La pista della filiera dei rifiuti

Roma brucia per mano criminale. Il giorno dopo il grande incendio che ha devastato il parco archeologico di Centocelle, gli autodemolitori e il campo rom del Casilino 900, la polizia scientifica trova gli inneschi piazzati per incenerire la capitale. Cariche incendiarie rudimentali, «diavolina», carta impregnata di combustibile e altro, piazzate a «macchia di leopardo» nella zona dove sarebbe divampato il primo focolaio, all'interno del parco. E la Procura di Roma apre un fascicolo contro ignoti per incendio doloso. «La magistratura sta indagando, è presto per fare ipotesi ma certo, c'è la mano dell'uomo», ha detto il sindaco Roberto Gualtieri.

Ma chi ha scatenato l'inferno sabato nel settore Est della Città Eterna? Pochissime le certezze per gli inquirenti, al lavoro da ore nell'area devastata dalle fiamme assieme a decine di squadre dei vigili del fuoco che hanno fatto l'impossibile per spegnere il rogo. Punto primo. Dei 40 demolitori presenti lungo la Palmiro Togliatti e nelle strade adiacenti, solo la metà sono in regola. Gli altri venti sono completamente abusivi. Su di loro pendono da anni decreti di sequestro e sgombero mai attuati. Ricorsi al Tar che, puntualmente, hanno bloccato ogni provvedimento giudiziario. La loro presenza, del resto, ha alimentato ancora di più le fiamme divampate attorno ai ruderi dell'area verde. Caldo torrido, vento forte hanno fatto il resto, ricoprendo parte della capitale di una densa nube nera che ha intossicato gli abitanti. «Abbiamo chiuso e sigillato porte e finestre - raccontano dei residenti sulla via Tuscolana - ma il fumo entrava in casa ugualmente».

Ieri mattina, intanto, i residenti delle quattro palazzine di sette piani evacuate in via Fadda sono potuti rientrare a casa. «Abbiamo usato i cinquanta automezzi di Roma più il Dragon aeroportuale - spiegano dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco di via Genova - per domare le fiamme. Ci sono venute in supporto le autopompe dai comandi di Viterbo, Rieti, Frosinone e Latina. Ma non bastavano. E allora sono arrivati persino da Arezzo, Terni, Caserta, Macerata e L'Aquila». Punto secondo. Chi avrebbe interesse a radere al suolo l'area occupata prevalentemente da «sfasciacarrozze»? Una ritorsione dei rom accampati a poca distanza da questi e che da sempre usano il fuoco per eliminare rifiuti e mezzi rubati? Ipotesi, purtroppo, destinate a restare tali anche se adesso la parola spetta agli esperti che dovranno trovare la pista giusta dai frammenti sequestrati. «Se il movente è di stampo mafioso non possiamo dirlo. Il tema è che in quasi tutti gli incendi c'è di mezzo la filiera dei rifiuti. La zona da dove è partito l'incendio era stata sgomberata non più di un mese e mezzo fa e c'era un'area di smistamento dei rifiuti. Da qui è divampato il rogo, le fiamme hanno seguito la linea di questi rifiuti per arrivate poi agli auto demolitori», ha detto Sabrina Alfonsi, assessora all'ambiente e ai rifiuti di Roma Capitale.

È accaduto anche a Ostia nell'estate del 2000. Dopo una serie di incendi dolosi, il polmone verde della Riserva del Litorale Romano confinante con la Tenuta Presidenziale di Castelporziano brucia per una settimana di seguito. Una catastrofe: dei 1100 ettari di parco fra lecci, farnie secolari e pini domestici, 360 vengono divorati dalle fiamme. Il responsabile non è mai stato individuato e sul movente del maxi rogo nessuna ipotesi ha mai trovato riscontro anche se quella degli appalti per la ricostruzione (miliardi di vecchie lire) resta la più accreditata.

Il paradosso? Mentre sull'intera capitale regna il degrado, spazzatura, animali selvatici in pieno centro, giardini abbandonati, il Campidoglio stanzia 3 milioni di euro per potenziare i vecchi idranti con quelli di nuova generazione.

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