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Romania, esordio alla guida del Consiglio Ue. Juncker: "Non hanno capito cosa significhi"

La riforma della giustizia è stata condannata da Bruxelles. E il Paese è diviso

Romania, esordio alla guida del Consiglio Ue. Juncker: "Non hanno capito cosa significhi"

Brexit, l'immigrazione, le Europee, il bilancio 2021-2027: il semestre di presidenza di turno dell'Ue che spetta alla Romania capita in momento particolarmente intenso per Bruxelles. Così, al timore dell'esordio - sarà la prima volta che Bucarest guiderà il Consiglio dell'Ue, dal 1° gennaio al 30 giugno 2019 - si aggiunge la delicatezza delle materie da affrontare. Se poi ci si mette anche una situazione interna instabile, le perplessità sono servite. Scettico sul da farsi è anche il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Che ieri, in un'intervista al quotidiano tedesco Die Welt, si è sbilanciato: «Credo che il governo di Bucarest non abbia ancora compreso appieno cosa significhi presiedere i Paesi dell'Unione - ha detto il politico lussemburghese -. L'azione prudente richiede la volontà di ascoltare gli altri e di mettere le proprie preoccupazioni al secondo posto. E io ho dei dubbi al riguardo».

Secondo il numero uno della Commissione il Paese non sarebbe in grado di mostrarsi compatto. In effetti a metà novembre era stato lo stesso presidente romeno Klaus Iohannis - di centrodestra, mentre al governo c'è una maggioranza di centrosinistra - a dire che Bucarest era «totalmente impreparata» ad affrontare il semestre di presidenza. Aggiungendo proprio che «i diversi settori del governo non vanno più d'accordo». Negli stessi giorni, poi, si era dimesso il ministro agli Affari europei, che tra le altre cose coordinava i preparativi per il 1° gennaio. Ora, alla vigilia dell'esordio, presidente ed esecutivo romeno si sono decisi a compattarsi: Iohannis ha fatto dietrofront, dicendo che dopo una «crisi» il Paese è pronto ad affrontare la sfida, mentre il nuovo ministro europeo ha detto che la Romania sarà un «onesto mediatore» tra gli Stati membri.

Ma i dubbi restano, anche perché sono diversi i punti di scontro tra Bucarest e le istituzioni comunitarie. A partire dall'immigrazione: la Romania è contraria al sistema di ripartizione per quote dei richiedenti asilo, meccanismo contro cui votò nel 2015 quando fu varato. O sui diritti civili: a Bruxelles non è piaciuto il referendum di ottobre per vietare costituzionalmente i matrimoni gay (poi fallito per mancato raggiungimento del quorum). Ma l'attrito maggiore è sulla riforma della giustizia che il governo sta portando avanti e che punta a limitare l'operato della procura Anticorruzione, in un Paese dove il reato è endemico e decine di ministri e parlamentari sono stati indagati o condannati. La direttrice dell'Anticorruzione, Laura Codruta Kövesi, è stata licenziata a luglio.

Un mese è arrivata la bacchettata della Commissione Ue: «Sono rammaricato che la Romania non solo abbia subito una battuta d'arresto nel processo di riforma - spiegava il vicepresidente Frans Timmermans - ma abbia anche fatto marcia indietro su questioni su cui erano stati conseguiti progressi negli ultimi dieci anni».

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