Milano Parte in extremis, quando alla sentenza cruciale a carico di Silvio Berlusconi manca solo una manciata di ore, la svolta garantista del Fatto Quotidiano. Anche dal giornale che in questi anni più si è battuto per la linea dura contro il Cavaliere (e che, va ricordato, rivelò per primo l'esistenza del caso Ruby) si levano voci autorevoli che chiedono un po' di clemenza per l'ex presidente del Consiglio. Non l'assoluzione, si badi; ma una condanna meno severa dei sette anni inflitti in primo grado, e che ora paiono troppi anche al quotidiano di Marco Travaglio.
Si tratta, in realtà, di un garantismo a costo zero. Perché il Fatto si attesta sulla stessa linea sostenuta in aula durante il processo di primo grado da Ilda Boccassini, che di anni di carcere per Berlusconi ne aveva chiesti solo sei, e venne scavalcata in asprezza dai giudici. Tanto, non cambia nulla. Se domani a Berlusconi la Corte d'appello infliggesse sei anni (o anche cinque, o quattro, o addirittura tre: basta stare sopra i due anni) il risultato finale sarebbe lo stesso. Una volta definitiva la condanna, il Cavaliere si vedrebbe revocare l'indulto che gli era stato concesso nel processo per i diritti tv. Lo sconto di tre anni verrebbe cancellato. E la somma algebrica delle due condanne andrebbe scontata in carcere, salvo motivi di salute, da un uomo che a settembre compirà 78 anni.
Questo è lo scenario reale, utile per capire il modesto peso specifico delle indulgenze dell'ultima ora. E non è un caso che nella loro arringhe, i difensori di Berlusconi non abbiano toccato affatto il tema della quantificazione della pena, e poco o nulla quello della qualificazione del reato, su cui tanto si disputa in questi giorni. La telefonata in questura fu concussione, come ha stabilito il tribunale, o induzione, come sosteneva la Boccassini? Per Berlusconi cambia ben poco. L'unica ipotesi che al Cavaliere porterebbe dei vantaggi concreti sarebbe che la Corte d'appello cancellasse almeno uno dei reati. Certo, Berlusconi e i suoi legali preferirebbero una assoluzione piena. Ma sapendo come va il mondo, considerebbero una mezza assoluzione già un successo.
Per la telefonata in Questura, i legali sanno di avere dalla loro parte una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione: che da una parte, come ha ricordato in aula Franco Coppi, permette di parlare di concussione solo se la vittima si trova «privo di alternative, messo con le spalle al muro» , e questo non fu certo il caso (come riconosce ieri anche il Fatto) del vicequestore Piero Ostuni quando ricevette la telefonata di Berlusconi; ma dall'altra per configurare il reato di induzione richiede che chi subisce le pressioni sia «motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale». E di questo «tornaconto» di Ostuni nel processo non c'è traccia. Per questo i legali ritengono che la telefonata di Berlusconi sfugga a ogni definizione di delitto.
Resta l'accusa di avere fatto sesso con Ruby. La Corte d'appello potrebbe condannare Berlusconi solo per questo reato. La pena massima, all'epoca dei fatti, era di tre anni. E una condanna ad almeno due anni sarebbe sufficiente a cancellare l'indulto del processo diritti tv e ad avviare il Cavaliere verso il carcere. Ma c'è un problema.
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