Il sì a Draghi conviene: lo spread si abbassa e i sussidi scompaiono

Con SuperMario al governo interessi sui Btp giù per 2,5 miliardi. E fine del reddito M5s

Il sì a Draghi conviene: lo spread si abbassa e i sussidi scompaiono

Dire sì all'esecutivo di Mario Draghi per ogni partito è una questione politica, anche un fatto di coerenza. Ma alle valutazioni ideologiche bisognerebbe aggiungere anche considerazioni di natura economica per ponderare bene qualsiasi decisione. In particolare, Fratelli d'Italia, formazione patriottica e componente di spicco del centrodestra, dovrebbe interrogarsi se collocarsi all'opposizione rappresenti un'effettiva opportunità.

A cominciare dallo spread. La fiducia incondizionata «votata» dai mercati al presidente incaricato ha riportato il differenziale tra i Bund e i Btp decennali sotto quota 100 a 93 punti base. Pictet e Cer Ricerche sono state le ultime istituzioni a pubblicare stime che collocano lo spread a quota 70 punti con SuperMario in pianta stabile a Palazzo Chigi. Questo si tradurrebbe in una minore spesa per interessi che potrebbe collocarsi tra 1,5 e 2,5 miliardi di euro considerato che fino a pochi giorni fa l'indicatore era stabilmente in area 110-120. Al contrario, senza Draghi e con eventuali elezioni alle porte si potrebbe risalire verso quota 150-170 e in quel caso la spesa potrebbe aumentare degli stessi 1,5-2,5 miliardi. E non c'è niente di più patriottico che tenere a bada gli interessi sul debito.

Analogamente nell'esclusivo interesse italiano sarebbe sostenere un premier, convinto fautore del «debito buono», cioè della spesa in deficit per investimenti che hanno ricadute positive sulla crescita economica. Da questo postulato, infatti, discendono due corollari di capitale importanza. In primo luogo, il Piano nazionale di ripresa e resilienza sarebbe scritto proprio in funzione degli investimenti produttivi, dunque la messa a terra dei circa 210 miliardi di risorse a disposizione dell'Italia sarebbe strutturata in funzione degli investimenti e non di sussidi e mance varie. Se la Borsa in questi tre giorni ha segnato costanti rialzi avvicinandosi ai record segnati un anno fa, non è solo per il alo dello spread ma anche perché gli operatori sanno che con Draghi le priorità del Recovery Plan sarebbero rovesciate secondo i dettami della Commissione von der Leyen. E investimenti, in questo caso, significano quelle opere pubbliche il centrodestra ha sempre sbandierato nei programmi e che hanno trovato un ostacolo nei veti delle comunità locali, aizzate da sinistra e M5s.

Il secondo corollario dovrebbe ispirare la convinta adesione di qualsiasi formazione di centrodestra. Se il debito deve essere «buono», allora non ci sarebbe più spazio per sussidi di dubbia efficacia come il reddito di cittadinanza il cui peso sulle casse dello Stato nelle sue varie declinazioni emergenziali causa Covid ha superato i 10 miliardi di euro dagli oltre 8 miliardi di stanziamento annuo. Basti solo pensare che l'ultima legge di Bilancio ha posto un'ipoteca di 4 miliardi aggiuntivi fino al 2029 per una provvidenza che ha garantito la sussistenza a oltre 4 milioni di percettori ma praticamente mantenendoli a spese dei contribuenti.

Ne consegue un sottocorollario ancor più dirimente per una qualsiasi formazione che si riconosca in principi conservatori, liberali e liberisti: la fine degli ammortizzatori sociali così come li abbiamo sempre

conosciuti. La cassa integrazione sarebbe ridisegnata come un incentivo alla formazione e alla riqualificazione della manodopera rimasta senza lavoro. Ecco perché dire «sì» a Mario Draghi non è solo una questione politica.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica