Saint Laurent senza tempo Accende le luci sul passato

Il designer Vaccarello s'ispira alla collezione russa del 1976. E il gran finale è con Naomi

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Parigi Gli stilisti hanno dei seri problemi con i ricordi. Se il loro sguardo sul passato è troppo nostalgico rischiano di cadere nel baratro del vecchio, del didascalico, del fuori tempo massimo. Se invece li azzerano nel disperato tentativo di arrivare al futuro un attimo prima, ottengono risultati che possono andare dal mediocre al sublime. La via di mezzo non c'è, così quel che si sta vedendo sulle passerelle di una Parigi uggiosa e piovosa come non mai è una specie di gioco al massacro intitolato «back-forward» dove vincono solo i migliori. Tra questi è veramente inarrivabile Anthony Vaccarello, trentasettenne designer belga da tre anni direttore creativo di Saint Laurent che l'altra sera ha fatto sfilare un esercito di modelle d'incredibile bellezza su una passerella interamente ricoperta da centinaia di fari rotanti incastrati nel pavimento. A ogni rotazione magistralmente orchestrata dalla regia si veniva a creare una foresta di luci verso il cielo oppure radenti sulle gambe delle ragazze coperte fino al ginocchio dagli stivali più belli che si siano mai visti e per il resto nude perché Vaccarello dice «nudità è libertà». Ovviamente alla vendita non mancheranno anche i classici pantaloni lunghi e alcuni per la verità si sono visti anche qui, nella parte di collezione dedicata a uno dei tanti temi affrontati da Monsieur Yves: i toreri, nell'artistica visione di Goya e Velasquez. Stavolta però il giovane designer prende soprattutto in esame la celeberrima collezione russa del 1976 e quell'incredibile gioco di bagliori luminosi su colori scuri come il verde bottiglia e il rosso rubino che all'epoca fecero gridare al miracolo. I suoi occhi di ragazzo nato negli anni del punk rock tolgono quel mix tra opulenza zarista e folklore populista che senza dubbio aveva affascinato Saint Laurent e con lui le sue inquiete muse, regine della cosiddetta Rive Gauche. Ecco quindi gli smoking di Betty Catroux e lo scialle annodato in testa per cui Loulou de la Falaise inventò un meraviglioso neologismo tra «gipsy» (zingara) e «jet set»: gipset. Tutto è corto, moderno, dinamico e insolente, ma fatto benissimo come ti aspetti da una griffe così importante. L'ultima a sfilare è Naomi Campbell, sempre bellissima, anzi molto più bella e sensuale delle sue giovani colleghe. Il messaggio è: questo è un marchio senza tempo per tutte le donne del mondo che a qualunque età hanno la testa e il corpo per mettersi in gioco sul serio. Dello stesso segno anche la fantastica collezione di John Galliano per Maison Margiela. Qui il geniale designer di Gibilterra fa un'operazione diversa e mescola l'immagine delle ausiliare nella seconda guerra mondiale con quella dei marinai un po' perversi di Fassbinder, Lili Marlene nel senso di Marlene Dietrich con le crocerossine e poi Watteau, i racconti berlinesi di Isherwood e chi più ne ha più ne metta. Il bello è che tutto questo viene realizzato tanto per lui quanto per lei con una netta preferenza per la frivolezza leziosa al maschile e il rigore della divisa al femminile. Il risultato è eclatante: un no gender che ha almeno i sacri crismi dell'autenticità perché in effetti a Galliano gli uomini piacciono così. Strepitoso anche il lavoro del nostro amato Alessandro Dell'Acqua per Rochas, storico marchio di alta moda francese molto legato ai profumi e a quella vecchia idea di femminilità che ha sempre un non so che di cipria e letti sfatti. «Stavolta ho alleggerito e colorato tutto: avevo voglia di uscire un po' dagli schemi» dice prima di far sfilare 35 divine creature che marciano leggere su scarpette capolavoro con la stoffa drappeggiata e cucita a mano sulla tomaia. Da Dries Van Noten il bravissimo designer belga richiama in scena un vero maestro come Christian Lacroix ed è come se minimalismo e iperdecorativismo trovassero finalmente una quadra nella moda. Invece da Lanvin il giovane Bruno Sialelli prende in esame Little Nemo, il fumetto di Winson McCay, cartoonis del New York Herald ai primi del '900.

A parte l'idiozia di sfilare all'aperto nel giardino del museo Branly sotto la pioggia, perché se hai la fortuna di poter entrare negli archivi di Jeanne Lanvin non li degni di uno sguardo e continui a guardare quel che fa il tuo ultimo capo che per la cronaca è Jonathan Anderson da Loewe?

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