Milano L'immagine che riassume tutto è Matteo Renzi che entra nel teatro battendo i cinque e posando per i selfie, «dov'è il calcetto? Voglio giocà! Dov'è?» chiede riferendosi ai biliardini messi all'ingresso, e Piero Fassino che, sprofondato in una poltrona della prima fila visibilmente spazientito dal ritardo, gli fa severissimo: «Sì ma a che ora cominciamo? Sono già le sei!». «Ora si inizia Piero, mettetegli due pischelli vicino» lo sfotte Renzi, facendogli sedere a fianco due ventenni democratici per placare l'ira del vecchio segretario Ds, ex supporter del rottamatore fiorentino. È l'abisso che separa Renzi dall'apparato Pd, reso più tangibile quando si perde.
Per il segretario è una Leopolda meneghina, con gli stessi biliardini, le piazze tematiche, il videoclip sulle note di Vasco, i testimonial dell'ottimismo vincente come l'ex ct della nazionale di pallavolo Mauro Berruto, ma il clima è completamente cambiato. Lui non è più il giovane leader con la vittoria in tasca, ma un ex premier che negli ultimi tempi ha collezionato sconfitte. E il partito, più che a festeggiare il rilancio del renzismo, ha una gran voglia di fare il processo ai suoi errori. Ma non è questa la sede, il congresso è stato già fatto e «due milioni di elettori alle primarie non hanno scelto soltanto un segretario ma anche una linea politica, e non è pensabile che si ricominci daccapo», scandisce scaldandosi Maurizio Martina, che dal palco parla per conto del quartier generale Pd perché Renzi ha deciso di intervenire solo oggi, a chiusura dell'assemblea dei circoli Pd («A noi interessa cambiare la vita delle persone, non inseguire le formule della politica del passato», ha anticipato il leader Pd). Ad ascoltare ci sono molti big del partito: da Franceschini a Orfini, da Orlando a Guerini, i capogruppo Rosato e Zanda, la ministra Fedeli, il tesoriere Bonifazi, fedelissimo del giglio magico. Il messaggio che deve passare dall'assemblea, non per nulla intitolato «Italia 2020», è: non si torna indietro, se lo scordi la sinistra che oggi si raduna a Roma: «Non possiamo rassegnarci al ritorno a formule che non ci sono più - dice Martina - Non ci può essere centrosinistra senza Pd. Fate tutte le polemiche che volete ma a noi non interesserà mai la logica del nemico-vicino», tira la frecciata ai compagni che sbagliano. Renzi annuisce e batte le mani.
Quella è la linea ufficiale, ma non certo l'unica. Si incarica Beppe Sala, padrone di casa, di dare voce al mal di pancia: «Alle amministrative abbiamo avuto un sconfitta dura. Abbiamo messo poco a fuoco le questioni rilevanti che muovono la pancia degli elettori. L'immigrazione, la sicurezza e il lavoro. Poi non sono stati messi in campo i candidati migliori» rimprovera, con Renzi e Martina davanti che sbuffano.
Il sindaco rimprovera anche a Renzi di non essersi speso in campagna elettorale. E poi il nodo alleanze: «Bisogna trovare un'alleanza, c'è poco da fare. E dico sì al dialogo con Pisapia». Uno dalla sala urla «bravo». Altro che Leopolda.
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