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Sala sotto inchiesta per Expo. "Mi autosospendo da sindaco"

Il primo cittadino di Milano indagato per il maxiappalto di un'opera: "Non ho idea delle accuse ma lascio"

Sala sotto inchiesta per Expo. "Mi autosospendo da sindaco"

Ad oltre un anno dalla fine di Expo, la lunga moratoria che ha permesso che l'esposizione si svolgesse senza dover fare i conti con la giustizia si sgretola. L'inchiesta sul più ricco e discusso appalto di Expo, quello per la piastra, avocata dalla Procura generale per porre rimedio alle inerzie della Procura della Repubblica, riparte a pieno regime. Altri nomi finiscono nel registro degli indagati, nomi che finora erano stati tenuti al riparo dalle asprezze degli avvisi di garanzia. E tra questi nomi c'è il più importante di tutti: quello di Beppe Sala, commissario straordinario di Expo, e oggi sindaco di Milano. La mossa della Procura generale ha conseguenze pesantissime, in nottata il sindaco decide di fare un passo indietro: «Apprendo da fonti giornalistiche che sarei iscritto nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla piastra Expo. Pur non avendo la benché minima idea delle ipotesi investigative, ho deciso di autosospendermi dalla carica di Sindaco, determinazione che formalizzerò domani mattina nelle mani del Prefetto di Milano».

A decidere di iscrivere Sala nel registro degli indagati è stato Felice Isnardi, il procuratore generale che si è impadronito dei ventuno faldoni di inchiesta che la Procura della Repubblica aveva chiesto nel febbraio scorso di archiviare. La richiesta della Procura era stata respinta dal giudice preliminare Andrea Ghinetti. E un mese fa la Procura generale, cui per legge spetta intervenire quando la Procura della Repubblica si mostra inerte, era scesa in campo avocando il fascicolo. L'altro giorno, Isnardi chiede altri sei mesi di proroga delle indagini. E ora si scopre che nel mirino c'è Sala.

Al sindaco gli inquirenti contestano il ruolo diretto che avrebbe avuto nel garantire una lunga serie di aumenti di spesa concessi alla Mantovani, l'azienda che si era aggiudicata i lavori per la piastra con un ribasso clamoroso, il 42 per cento sulla base d'asta fissata in 149 milioni di euro. Subito dopo avere ottenuto i lavori, l'azienda aveva cominciato a protestare sostenendo che il ribasso da lei stessa praticato non le consentiva di rientrare nei costi. E dai vertici di Expo le era arrivata la garanzia di altri soldi, senza gare e senza appalto. Nelle carte dell'inchiesta, quella che la Procura voleva archiviare con un nulla di fatto, il nome di Sala compariva varie volte come il più alto in grado tra i personaggi che avevano autorizzato la pratica di «rialzo concordato» del contratto con Mantovani. Ma ai pm che allora gestivano l'inchiesta non era parso sufficiente per metterlo sotto accusa.

Ora, invece, lo scenario cambia bruscamente. Forse sulla base di nuovi elementi scovati in queste settimane, con le nuove perquisizione disposte da Isnardi negli uffici di Expo, e forse anche su una nuova valutazione delle vecchie frasi che chiamavano apertamente in ballo Sala. C'era un funzionario di Expo, che attribuiva a Sala la decisione, in nome della velocità dei lavori, di non verificare la congruità dell'offerta Mantovani. E c'era la testimonianza del direttore generale Rognoni: «Sono stato testimone del fatto che Sala ha intrattenuto rapporti con il figlio di Chiarotto (proprietario dell'azienda) e con il presidente di Mantovani, in cui Sala gli ripeteva che in questo contesto l'unica cosa che non manca sono i soldi, facendo chiaramente capire che vi era disponibilità della stazione appaltante a deliberare risorse in favore dell'appaltatore». Quando si era appreso che la Procura generale aveva riaperto l'inchiesta a suo carico, Sala aveva cercato di minimizzare la portata della sua frase, «sono cose che è normale dire».

La Procura generale, a quanto pare, è di diverso avviso.

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