È rituale il telegramma di cordoglio di un Papa alla morte di un suo cardinale, ma è denso e caloroso il saluto di Francesco per Dionigi Tettamanzi, morto ieri mattina a 83 anni dopo una lunga malattia a Villa Sacro Cuore di Triuggio, il centro di ritiri della Diocesi che aveva scelto nel 2011 come ultima casa.
Milano lo ha avuto «tra i suoi figli più illustri e tra i suoi pastori più amabili e amati», scrive Bergoglio. I funerali saranno celebrati in Duomo martedì alle 11, dove la camera ardente sarà allestita domani alle 16. Il vescovo Dionigi sarà tumulato in cattedrale, ai piedi dell'altare Virgo Potens, a fianco dell'urna del beato Schuster. Uno dei pochi posti «liberi» per la sepoltura in Duomo che spetta agli arcivescovi di Milano ed era stato lui a sceglierlo per sé.
Nato a Renate il 14 marzo 1934 e raggiunto dalla vocazione a undici anni, fu ordinato sacerdote dal futuro Paolo VI nel 1957. «I diritti dei deboli non sono diritti deboli» una delle sue frasi forti. Arcivescovo e cardinale, chiacchierava con tutti coloro che lo avvicinavano dopo la Messa o un dotto convegno, alle mense per poveri e senzatetto, in oratorio e fin dentro i campi nomadi, dove era stato accolto come un re un giorno in cui i suoi scarponcini affondavano tra il fango delle roulotte. Quando ancora l'espressione non esisteva, era «un pastore con l'odore delle pecore».
«Che cosa diremo a Gesù quando ci chiederà conto? Ero forestiero e mi hai chiesto le impronte digitali?», se ne era uscito nel suo stile mite che sapeva esplodere in parole chiare e scontri diretti. Come quello che lo ha opposto alla Lega su proposte che sentiva in contraddizione con la sua vocazione cristiana all'accoglienza, messa in pratica anche da arcivescovo emerito, quando volle un gruppo di rifugiati nella sua casa di Triuggio. Finì che lo definirono «imam Tettamanzi» per questo suo non tacere e anche perché davanti al Duomo nel 2009 un'enorme folla di musulmani si era prostrata in preghiera chiedendo un luogo di culto. Ma lui era abituato alle polemiche.
«Vangelo secondo Unità», avevano titolato i giornali nel 1994, quando da segretario della Conferenza episcopale italiana concordò la pubblicazione in tre volumi del Nuovo testamento edizione Cei sul quotidiano allora diretto da Walter Veltroni. In un primo tempo la richiesta l'aveva sorpreso: «Ma poi perché no?», disse ai giornalisti. Si era nel pieno dell'era Ruini, ma ci fu chi parlò di cattocomunismo.
Il Papa ne sottolinea «l'intensa opera culturale e pastorale», perché Tettamanzi è stato uno studioso di morale «particolarmente esperto» sulla famiglia, il matrimonio e la bioetica. A Milano, nel 2008, fece epoca la lettera «Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito», che diede speranza agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione.
Molto apprezzato da Giovanni Paolo II, che lo volle arcivescovo di Ancona (1989-1991), Genova (dal 1995 al 2002) e Milano (2002-2011), collaborò anche alla stesura di encicliche di Wojtyla.
Aveva insegnato Morale fondamentale al Seminario di Venegono e qui, giovane professore, aveva avuto giovane studente Angelo Scola. «Sono a lui particolarmente legato da allora» racconta il suo successore, grato per come in questi suoi sei anni da arcivescovo, il cardinale Dionigi lo abbia sempre «accompagnato con intensa amicizia e discrezione».
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