Stravinte le primarie, Salvini passa a regolare i conti tenuti in sospeso in attesa del plebiscito tra i militanti leghisti, che all'82,7% gli hanno dato carta bianca per continuare con la Lega sovranista-nazionale (affluenza modesta, ma «faremo in modo che la prossima volta si esprimano tante persone in più»). Primo di tutti i conti, quello con Bobo Maroni, il governatore lombardo sponsor ombra della candidatura dello sfidante Fava, suo assessore («È finita la fase lepenista» aveva detto l'ex ministro alla vigilia del congresso). Il messaggio del segretario federale, forte dei numeri incassati dalla base, è preciso: «Chi sta reggendo il moccolo a Renzi e alla Boschi non può essere alleato con la Lega in competizioni nazionali e regionali, anche in Lombardia», appunto la regione guidata da Maroni con l'appoggio dei centristi di Alfano. «Sicuramente Maroni condividerà quello che condividemmo con Luca Zaia che governa senza gli amici di Renzi e con una maggioranza schiacciante. A livello locale ho lasciato libertà di scelta, ma a livello politico nazionale e regionale la scelta passa da me, e dove c'è Alfano non c'è la Lega». Linea opposta a quella del governatore, che promuove invece il «modello Lombardia» come schema per il centrodestra nazionale e che punta al bis al timone della Regione con la stessa coalizione. «Farò in modo di convincere Salvini che la mia maggioranza di riferimento in Regione ottiene risultati» replica Maroni. Va detto che la minaccia di Salvini non è nuova, più volte il leader leghista si è scagliato contro le ammucchiate contronatura, ma nessuna giunta (anche in Liguria la Lega è in maggioranza con gli alfaniani) è mai stata seriamente a rischio. Tuttavia, l'avvertimento rilanciato all'indomani della vittoria contro la fronda interna, assume un peso diverso.
Non solo per i malpancisti dentro il Carroccio («Con ieri si chiude il capitolo del Salvini uomo solo al comando, del la linea non ci piace. Basta reducismo, nostalgismo, arcorismo»), ma anche fuori. La polemica è soprattutto con Forza Italia. «Io lavoro per unire, per vincere per avere un'alleanza più seria e larga possibile, e questo significa volere una legge elettorale maggioritaria che ti porti a fare una coalizione e a vincere o perdere. Se qualcuno invece dice voglio il proporzionale puro per decidere dopo le alleanze, valutate voi chi vuole un centrodestra unito e chi vuole un piede in due scarpe. Forza Italia è incoerente, parla di alleanze e poi parla di proporzionale. È legittimo. Ma se Berlusconi vuole le mani libere per poi magari allearsi il giorno dopo con Renzi, non so cosa farci». Quanto a Umberto Bossi, che si è detto pronto a valutare un'uscita dalla Lega, il segretario non mette «il guinzaglio» a nessuno.
Ma la esclude: «Nel Pd a volere la scissione c'erano fior di dirigenti, nella Lega c'è solo Bossi che mi ricopre di insulti». Anche Maroni conosce bene le sparate del Senatùr: «Non se ne andrà, ne sono sicuro. Non è la prima volta che minaccia di andarsene, quando ero segretario io me ne ha dette anche di peggio». Ed è sempre lì.
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