Roma Quel che conta non sono «i numeretti», di quelli si occupano «i ragionieri». Per Matteo Salvini conta se mai il messaggio che arriva agli elettori, e il messaggio che il vicepremier invia, all'indomani della lunga notte che ha partorito lo sfondamento della diga Tria e del deficit, è trionfale e bellicoso al tempo stesso.
Così la nota di aggiornamento del Def (ancora priva di cifre ufficiali) diventa nientemeno che «un passo avanti verso la civiltà». Il deficit diventa «una grande opportunità per il Paese». E quel terremoto che dalle prime ore del mattino ha visto crollare le borse, impennare lo spread e bruciare rapidamente miliardi? Salvini fa spallucce: «I mercati se ne faranno una ragione», e se l'Unione europea bocciasse i conti dell'Italia «noi tireremo avanti lo stesso». Una sfida a brutto muso, assai più sanguigna delle cautele del suo omologo grillino Di Maio, secondo il quale con la Ue «si aprirà un'interlocuzione». Del resto il viceministro leghista dell'Economia, Massimo Garavaglia (che con Giancarlo Giorgetti ha gestito la lunga partita contro Tria a fianco di Salvini), ammette serafico che «la bocciatura è scontata, avendo fatto uno scostamento rispetto al percorso previsto». E Claudio Borghi, che presidia la commissione Bilancio, annuncia che «bisogna festeggiare il coraggio del governo di rompere i tabù». In casa leghista, insomma, lo scontro con la Ue e con i «mercati» cattivi viene visto più come un'opportunità che come un rischio: nella lunga campagna elettorale di qui alle Europee, la guerra con Bruxelles e la sfida a colpi di spread con i mercati può trasformarsi in un prezioso strumento di propaganda, assieme alla lotta agli immigrati, che Salvini sa di poter maneggiare assai meglio degli alleati Cinque Stelle. E questo conta assai più dei «numeretti», appunto. Anche se proprio sul secondo fronte il leader leghista incassa uno smacco diplomatico: «È andato in Tunisia e non è stato ricevuto dal premier, per il linguaggio usato contro i tunisini: la prima volta che succede in 15 anni», accusa l'ex premier del Pd Paolo Gentiloni.
Cosa effettivamente la Lega abbia realizzato, delle sue promesse elettorali, è ancora incerto. «Sulle pensioni portiamo a casa una quota 100 pulita, a 62 anni», assicura Salvini. Ma la «flat tax» (a due aliquote) resta solo un ipotetico traguardo «di fine legislatura». Quanto alla cosiddetta «pace fiscale», ossia il condono che dovrebbe consentire la chiusura delle cartelle di Equitalia, è per ora una casella vuota: la Lega, che ne è accesa sponsor, aveva annunciato con rulli trionfali di tamburi che il tetto per aderire alla sanatoria sarebbe stato assai generoso: fino a un milione di euro. I grillini erano andati in tilt: «Non daremo mai l'assenso ad un condono per ricchi evasori». Dalle bozze del Def circolate ieri si deduceva che l'avessero spuntata le resistenze dei Cinque Stelle: altro che un milione, il condono «coinvolgerà i contribuenti con cartelle esattoriali e liti fiscali fino a 100mila euro», un decimo di quanto annunciato dal Carroccio.
Che infatti ieri, con Garavaglia, si è precipitato a correggere l'impressione di una sconfitta sulle cifre: il tetto, ha annunciato, dovrà arrivare a 500mila euro. «Personalmente un milione ci sta tutto - ha precisato - perché un'aziendina ci mette un attimo a cumulare un milione di arretrati. Però anche 500mila ci può stare». Non resta che vedere chi alla fine l'avrà spuntata.
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