Il sangue sulla Brexit eccita gli squali di Borsa

Indici europei in netto rialzo dopo l'omicidio. Operatori certi: Londra rimarrà nella Ue

Il sangue sulla Brexit eccita gli squali di Borsa

Non una lacrima versata, non un minimo segno di cedimento. Di commozione, neanche a parlarne: ai piranha non succede. Soprattutto se sentono l'odore del sangue. E quello, innocente, della deputata Jo Cox continua a essere gelidamente dolce per i mercati. Rimasto in canna giovedì scorso, il colpo del rialzo è andato perfettamente a segno ieri, con Milano a recitare la parte del leone (+3,5%) dopo i ripetuti ceffoni presi durante la settimana, seguita da Londra (+1,19%), Parigi (+0,98%) e Francoforte (+0,85%). E lo spread tra Btp e Bund è sceso a 143 punti dopo la fiammata oltre quota 150 di un paio di giorni fa. Insomma: allarme rientrato. Per ora.

L'assunto alla base del recupero è di una semplicità elementare: l'omicidio è destinato a convogliare sotto le insegne del «Remain» gli scettici, chi pensava di disertare le urne giovedì prossimo e, magari, anche qualcuno tra i favorevoli alla Brexit. Insomma: si scommette sulla sconfitta degli euroscettici, in un sovvertimento insperato dei sondaggi che davano ormai per certo lo strappo con l'Unione europea grazie all'azione criminale di un pazzo neo-nazista. O, forse, di un pazzo e basta. Sfumature che ai mercati interessano poco o punto. Perché quanto accaduto rappresenta il terreno di pascolo preferito della speculazione. Prendete le banche italiane, per esempio. Fino a qualche giorno, era tutto un tiro al piccione, giustificato - si diceva - dall'incapacità di mettere assieme il puzzle delle alleanze e dal fatto che i nostri istituti stanno affogando in un mare di sofferenze (i crediti di difficile riscossione). Poi, ieri la (parziale) resurrezione: l'indice di categoria è balzato di quasi il 6% pur non essendo cambiato nulla. Qualcuno perde, qualcuno vince: è un po' una logica da casinò, dove i fondamentali economici non contano. C'è chi dice che se i mercati si sono tramutati in una sorta di Frankestein, la colpa è delle banche centrali. Attraverso politiche monetarie sempre più lasche hanno incoraggiato l'azzardo morale e l'indebitamento finalizzato a far lievitare più le Borse che l'economia reale. E ora, quelle stesse banche centrali sembrano a corto di munizioni. La Fed Usa non azzarda neppure un piccolo ritocco verso l'alto dei tassi, temendo la Brexit e abdicando così al suo ruolo naturale di guida dell'economia mondiale; la Bank of England, ovviamente, ha scelto l'inazione così come quella del Giappone. E la Bce di Mario Draghi, dopo aver allargato alle obbligazioni societarie il perimetro del suo quantitative easing, sta aspettando di vedere l'effetto che fa. Non dovesse bastare, c'è sempre un probabile prossimo step: l'acquisto dei bond senza il bollino blu dell'investment grade, quello della solidità finanziaria. Del resto, l'immobilismo non piace all'ex governatore di Bankitalia: «Abbiamo visto come il prezzo del non agire sia alto - ha detto ieri - Abbiamo visto come questo lasci l'economia vulnerabile all'instabilità». Poi, l'appello per evitare i rischi di disgregazione innescati dal referendum britannico: «Dobbiamo trovare una nuova strada per costruire la fiducia tra gli Stati membri e i popoli d'Europa, una strada che si basi sulle istituzioni esistenti per assicurare meglio le necessità delle persone».

Draghi è già in pre-allarme: chiamato a orchestrare le operazioni per far fronte all'eventuale vittoria dei pro-Brexit,

non parteciperà al vertice fra i presidenti della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, del Parlamento Martin Schulz e del Consiglio Donald Tusk, convocato giovedì prossimo per discutere i risultati del referendum britannico.

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