Nel brevissimo video (dura una decina di secondi) si vede una spaventata ragazza che parla in arabo e chiede aiuto al mondo esterno: «Ho bisogno di un Paese che mi dia asilo, ho paura che mi uccidano». Non è un episodio di Criminal minds, è tutto vero. Lei si chiama Rafah Mohammed Al Qunun, ha diciotto anni, è cittadina dell'Arabia Saudita ed è barricata in una camera d'albergo nell'area di transito dell'aeroporto internazionale di Bangkok, Thailandia. Ha combinato qualcosa di più grande di lei, e ora è terrorizzata. Alla Bbc ha raccontato di avere eluso la sorveglianza della sua famiglia a Kuwait City e di avere preso un aereo diretto in Australia: voleva rifarsi una vita lontano dal mondo oppressivo del suo Paese che limita i diritti delle donne a livelli per noi inimmaginabili, riducendole a semi-persone che hanno bisogno del permesso di un uomo (padre, fratello o marito) per fare qualsiasi cosa, anche uscire di casa e velate come Allah comanda.
Forte della lucida incoscienza della sua età, ha fatto qualcosa che in Arabia si paga con la vita: ha condiviso sui social la sua intenzione di abbandonare non solo la sua famiglia, ma anche la sua religione. Questo si chiama apostasia, e quando suo padre lo ha saputo ha raccontato la bellissima Rafah sgranando i suoi occhi chiari è impazzito dalla rabbia. Lei era già lontano, in volo per l'Australia, ma non sapeva che il destino le stava preparando una brutta sorpresa. L'aereo infatti ha fatto uno scalo tecnico a Bangkok e qui la giovane ribelle è stata fermata dalle autorità thailandesi. L'aereo è ripartito senza la ragazza, che è stata alloggiata in albergo. Qui Rafah si è barricata e da qui ha lanciato il suo appello al mondo. «Se mi rimandate a Riad temo che saranno i miei stessi familiari a uccidermi per salvare il loro onore. Non voglio tornare in Arabia, salvate la mia vita».
Inizialmente le cose si erano messe male. I thailandesi volevano rispedirla in Kuwait, il Paese da cui era partito il suo volo. Lei aveva fatto ricorso, ma la giustizia locale l'aveva prontamente respinto. A questo punto Phil Robertson, un funzionario di Human Rights Watch Asia, ha sollecitato l'intervento dell'Unhcr, l'Ufficio delle Nazioni Unite per i rifugiati. E il miracolo è avvenuto: Bangkok ha assicurato che non ci sarà un rimpatrio forzato e ha concesso alla ragazza saudita di restare nel Paese sotto la protezione dell'Onu. Anzi otterrà, spiegano le autorità thailandesi, asilo politico in un Paese terzo «entro cinque giorni»
Rafah ha raccontato che la sua famiglia è molto rigida perfino per i canoni sauditi: una volta l'avevano rinchiusa in una stanza per sei mesi in attesa che le ricrescessero i capelli che aveva osato tagliarsi senza permesso.
Si parla anche di un marito che lei avrebbe lasciato per ragioni intuibili, ma è inutile girarci attorno: la giovane ribelle rischia la vita perché ha rinnegato l'islam. Il governo australiano si è detto «molto preoccupato» per lei. Forse il folle coraggio di Rafah, alla fine, sarà premiato.
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