Il premier Conte si allinea a Gigino Di Maio, a sua volta già allineato alla sua ex anima gemella Matteo Salvini, e sposa improvvisamente la linea dura contro gli sbarchi di migranti. In quel di Cerignola, nella natia Puglia, convoca le telecamere e scandisce il suo proclama anti-immigrati, promettendo che d'ora in poi sarà «duro e inflessibile». «Non si entra in Italia in questo modo», tuona, «e soprattutto in questo momento di fase acuta non possiamo permettere che la comunità internazionale sia esposta ad ulteriori pericoli non controllabili. Ci sono migranti che tentato di sfuggire alla sorveglianza sanitaria: non ce lo possiamo permettere», ripete. La strada maestra, spiega, è quella della collaborazione con le autorità dei paesi di provenienza, Tunisia in primis: «Stiamo collaborando con le autorità tunisine, ho scritto una lettera al presidente e sono contento che abbia fatto visita ai porti per rafforzare la sorveglianza costiera: dobbiamo contrastare i traffici», assicura, e soprattutto «dobbiamo intensificare i rimpatri». Promessa già ascoltata ai tempi in cui Salvini sedeva al Viminale e alla destra di Conte, ma che allora non sortì alcun risultato.
Intanto però sull'emergenza sbarchi e sulle politiche di controllo dell'immigrazione la maggioranza vacilla e si incrina. Salvini e Meloni cavalcano il tema e ne faranno la bandiera della loro campagna elettorale, martellando il governo di accuse di lassismo. Conte e i Cinque Stelle, spaventati, reagiscono cercando di inseguire la destra sul suo stesso terreno. E tentano di archiviare in fretta i pasticciati e precari accordi raggiunti con il Pd sulle modifiche ai decreti Sicurezza di salviniana memoria e tuttora in pieno vigore (senza alcun effetto visibile sugli arrivi di migranti): tutto rimandato a data da destinarsi, nonostante i Dem già cantassero vittoria. Per non parlare dello ius culturae, ossia la concessione della cittadinanza per i bambini che abbiano compiuto un intero ciclo scolastico (di almeno 5 anni) risiedendo in Italia: il capogruppo dem Graziano Delrio aveva appena rilanciato la proposta di legge (peraltro firmata dai grillini), chiedendo alle commissioni parlamentari di riprenderne l'esame, abbandonato da tempo. Ma i Cinque Stelle si mettono subito di traverso: «Una proposta inopportuna e intempestiva», la bolla Vito Crimi, facendo eco agli attacchi del centrodestra. E il ministro D'Incà la archivia: «Meglio concentrarci sul rilancio economico, è quello che interessa agli italiani». Il Pd reagisce: «Non possiamo essere subalterni alla narrazione salviniana, e considerare nemico chiunque abbia un colore diverso», avverte Enrico Borghi. «La reazione del Movimento Cinque Stelle è sconcertante», attacca Matteo Orfini.
Da Forza Italia, Francesco Paolo Sisto accusa la maggioranza di giocare al «poliziotto buono e cattivo» in un «patetico gioco delle parti», e ironizza: «La credibilità del pugno duro di Conte è pari allo zero». La ministra Teresa Bellanova, di Italia viva, invita il centrodestra a recuperare «un po' di umanità» e sottolinea: «I flussi di migranti non verranno certo fermati dalle chiacchiere di Meloni o di Salvini, occorre una strategia europea».
Le replica inviperita la leader di Fratelli d'Italia: «davvero il governo complice di sbarchi e sanatorie vorrebbe darci lezioni sulla gestione del fenomeno migratorio?». Un invito ad «essere seri» arriva, con umorismo involontario, niente meno che da Paola Taverna. Concludendo in bellezza la giornata.
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