di Q uella di venerdì scorso è solo l'ultima di una serie di piccole, grandi incomprensioni. A volte di merito, spesso di strategia, quasi sempre di comunicazione. Perché il Roberto Maroni che applaude il Pd milanese e il suo documento che chiede maggiore autonomia per la Lombardia non è del tutto in linea con un Matteo Salvini che proprio picchiando duro su Matteo Renzi è riuscito a scalare i sondaggi fino a superare quota 15%. D'altra parte, che i due non viaggino sulla stessa lunghezza d'onda è cosa nota. Al punto che negli ultimi mesi c'è stato più di un momento di tensione, dovuto soprattutto alle uscite pubbliche di un Maroni che certo non si preoccupa né di concordare né di anticipare al suo segretario il contenuto di interviste o conferenze stampa.
Al di là del contingente, però, quel che divide davvero i due è la prospettiva politica. Se il governatore lombardo guarda al centro, Salvini è decisamente più spostato a destra. Così è nelle cose che il primo governi il Pirellone in compagnia di Ncd - con cui vanta un'ottima intesa - mentre il secondo non perde occasione per affondare su Angelino Alfano mentre flirta non solo con Fratelli d'Italia ma pure con Casapound. Volendo ridurre la questione ai minimi termini e utilizzando un dualismo del passato, si potrebbe dire che Maroni rappresenta la cosiddetta Lega di governo mentre Salvini è la Lega di lotta. Non tanto perché uno ha un ruolo istituzionale e l'altro no, quanto perché è difficile immaginare di poter correre un domani per Palazzo Chigi senza la sponda del centro.
E qui, forse, sta il punto centrale della contesa. Chi conosce bene le cose e gli equilibri del Carroccio, infatti, è pronto a scommettere che Maroni stia ragionando su un futuro da possibile candidato premier. Non sta sgomitando - racconta un leghista vicino al governatore - ma è comunque consapevole che la sua potrebbe essere «una figura unificante» nell'area del centrodestra. L'identikit, in effetti, non è male: c'è la Lega, c'è l' appeal sull'elettorato moderato e c'è anche una buona intesa con Silvio Berlusconi.
Un simile scenario, però, non sembra che scaldi troppo Salvini. Che anche dovesse rinunciare a giocare in prima linea - perché pur essendo un grandissimo comunicatore potrebbe avere il limite di non unire tutto il centrodestra - preferirebbe di molto che a correre per la premiership fosse Luca Zaia. Non è un caso che negli ultimi giorni il nome del governatore del Veneto sia stato tirato in ballo proprio come possibile candidato della Lega ad eventuali primarie del centrodestra (che continuano comunque a non appassionare Berlusconi). Anche Zaia, infatti, ha come Maroni un profilo più moderato e sfonda al centro.
Se quella di Palazzo Chigi è una prospettiva avanti nel tempo, decisamente più imminente è la corsa per Palazzo Marino. Ed è proprio sul candidato del centrodestra a sindaco di Milano che potrebbe avere conseguenze il braccio di ferro in corso tra Maroni e Salvini. Il primo, infatti, si starebbe spendendo molto a favore di Maurizio Lupi, perché un eventuale successo dell'ex ministro delle Infrastrutture non farebbe che rinsaldare l'asse con Ncd e dunque blindare il Pirellone.
Il secondo, però, non pare convinto fino in fondo da questa argomentazione e teme che Maroni guardi più avanti e voglia mettere le basi di un rapporto solido con il centro dello schieramento. Senza contare che sostenere un candidato Ncd a Milano sarebbe per Salvini una sconfessione di quanto fatto e detto fino ad oggi su Alfano e una possibile alleanza con il Nuovo Centrodestra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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