Schettini, il boss dei 59 omicidi confessati tra poche settimane tornerà in libertà

Ne ha eseguiti di persona 37. Dopo 26 anni di carcere esce a inizio 2018

Schettini, il boss dei 59 omicidi confessati tra poche settimane tornerà in libertà

Stefano Zurlo

Il curriculum è da Guinness dei primati: 59 omicidi, di cui 37 eseguiti personalmente e gli altri commissionati. Di due morti ammazzati oggi si dispiace sinceramente: «Poveretti, non c'entravano niente», sono le sue parole raccolte dall'edizione online del Corriere della sera. Antonio Schettini è davvero un libro di storia criminale. Basti dire che nel 1990 è lui ad abbattere a Tradate, in provincia di Varese, Roberto Cutolo, figlio del mitico boss Raffaele, quello immortalato da Fabrizio De Andrè in una celeberrima canzone.

La notizia, quasi surreale, è che all'inizio del 2018 Schettini sarà di nuovo libero dopo aver scontato «solo» 26 anni di carcere. Peraltro con un'interruzione perché nel 2001 fu scarcerato per un cavillo, fu spedito prudenzialmente al soggiorno obbligato a Pisa e pensò bene di sparire dalla circolazione prima di essere nuovamente acciuffato con un'operazione da film sull'Autostrada del sole.

In un Paese malconcio in cui la giustizia spesso dà spettacolo, mancava giusto quest'altra sconcertante vicenda. Ma la legislazione sui pentiti permette sconti vertiginosi e Schettini a suo modo ha collaborato. Insomma, l'aritmetica giudiziaria in cui uno più uno può fare due ma anche no, è salva, anche se l'opinione pubblica resterà basita e crescerà la sfiducia nelle istituzioni.

Pazienza. In circolazione ci sono molti mafiosi di rango che grazie alle loro rivelazioni hanno guadagnato la libertà a una velocità supersonica. Certo, lo Stato mette sul piatto il contributo spesso decisivo dato da questi ceffi per smantellare organizzazioni criminali attrezzatissime, ma non sono mancati gli scandali e soprattutto in una prima, pionieristica fase alcuni pezzi grossi di Cosa nostra avrebbero barattato le loro deposizioni con premi milionari e addirittura la salvaguardia dei patrimoni messi insieme sparando, taglieggiando e trafficando droga.

Proprio come Schettini: lui nasce a Napoli ma i suoi exploit sono ambientati nella ricca Lombardia degli anni Ottanta e Novanta, quando si dà da fare per controllare il mercato degli stupefacenti sull'asse Milano-Lecco. Il criminale si affilia alla 'ndrangheta, diventa il braccio destro di Franco Coco Trovato, con la banda Trovato-Flachi firma una serie impressionante di agguati, esecuzioni, strangolamenti. Fino a eliminare addirittura Cutolo junior. Un passo clamoroso che lui oggi spiega cosi: «Fu per Jimmy Miano». Altro boss, ma catanese. «Uccidendo Cutolo ne feci contenti cinque. Una volta sistemata la cosa, telefonai a tutti».

Nel 92 però il meccanismo s'inceppa e Schettini finisce dentro per l'omicidio del narcotrafficante Alfonso Vegetti, fatto fuori a Cinisello Balsamo nell'hinterland milanese. È il momento di voltare pagina: nel '94 comincia la collaborazione con la magistratura. Nel 2001 si ritrova fuori per i soliti, cronici ritardi dell'apparato giudiziario insieme ad altri 78 boss: i termini della custodia cautelare sono scaduti e il processo è indietro. Lo mandano a Pisa, lui scompare nel nulla. Poi lo polizia lo riprende inscenando un cantiere sull'Autosole all'altezza di Melegnano.

Partita finita, ma il carcere, quello duro al 41 bis, non diventa la sua tomba.

Qualche anno fa gli viene concessa la detenzione domiciliare per motivi di salute e pure il permesso di uscire per lavorare come un travet qualunque. Nei giorni scorsi, Coco Trovato gli dedica la tesi di laurea in giurisprudenza, discussa nel penitenziario di Rebibbia. Ora è un passo dalla libertà.

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