La scissione dei parassiti

I "parassiti" sono la dimostrazione che il Pd non potrà mai essere un partito di governo affidabile

La scissione dei parassiti

La parola del giorno è «parassiti» e l'ha pronunciata l'uomo del superemendamento che ha salvato l'Italicum. Era diretta ai trenta compagni di partito che ieri hanno votato contro la riforma elettorale di Renzi, che sarebbe così affondata insieme al governo se non ci fosse stato l'aiuto di Forza Italia. Parassita - cito il dizionario - è colui che trae vantaggio, nutrimento e protezione da un'altra forma di vita a cui reca danno. Parliamo, nel caso specifico, di gente che campa, politicamente ed economicamente, grazie al fenomeno Renzi (senza il quale sarebbero già tutti a casa) ma si guarda bene di seguirne la linea o sostenerlo nei momenti decisivi. Parassiti, appunto, ai quali noi siamo grati. Non per affinità politiche o morali ma per riconoscenza. Hanno infatti dimostrato nei fatti ciò che noi sosteniamo fin dall'insediamento - forzato e rocambolesco - di questo governo. E cioè che Renzi avrà anche preso il 40 per cento di voti alle elezioni europee ma non dispone - almeno al Senato - di una maggioranza parlamentare (lo sapeva anche lui, tanto che il suo primo atto da segretario fu quello di aprire le porte del Nazareno a Berlusconi).

E di questa anomalia, prima o poi (speriamo prima, diciamo appena insediato il nuovo presidente della Repubblica) qualcuno dovrà prendere atto. Non solo. I «parassiti» sono la dimostrazione che il Pd non potrà mai essere un partito di governo affidabile perché ancora inquinato da una significativa componente comunista o post comunista che lo tiene prigioniero di un passato ideologico, tragico e disastroso. In una parola: inattuale. Qualcuno dice: proprio per questo, Berlusconi avrebbe dovuto sfilarsi e lasciare il re nudo. Sarebbe stato certamente divertente, ma assolutamente inutile. Solo un ingenuo può pensare che, in assenza della certezza di un soccorso azzurro, i «parassiti» avrebbero avuto il coraggio di votare contro la riforma, affossare il governo e perdere il posto. A mollare le braghe sarebbe stato il premier, e a quel punto addio riforme (o peggio, chissà che riforme), addio presidente della Repubblica condiviso.

Piuttosto che lasciare Renzi (e il Paese) nelle mani della Bindi e di Bersani, meglio andare avanti con il «partito del Nazareno», nuova e anomala maggioranza. Che non piace a Fitto, ma pazienza, ce ne faremo una ragione. Oggi godiamoci lo spettacolo della sinistra che esplode, domani si vedrà.

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